La magia del Violon Noir a Torino

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Cari amici, la storia che stavolta vi racconterò sarebbe forse più adatta ad Halloween che al periodo di Natale, ma spero che mi scuserete.
C’era una volta in Francia un violinista veramente straordinario, che a quei tempi (siamo all’inizio del ‘700) superava in bravura qualsiasi suo precedente o contemporaneo, uno dei primi, forse, a cui per gli eccezionali virtuosismi di cui era capace si applicò l’etichetta di “diabolico” mettendo in campo alleanze o patti col diavolo, come fu poi con Giuseppe Tartini o Niccolò Paganini. Stiamo parlando del lionese Jean Marie Leclair (1697/1764). Apprezzato, famoso, restò vittima della sua stessa bravura. Dopo una vita di successi e soddisfazioni si fece sempre più misantropo e solitario, lasciò la famiglia, si allontanò da tutti (persino dalla figlia, essa pure dotata violinista), e tormentato da cento malattie immaginarie si rinchiuse nella sua casa-fortezza al Quartier du Temple a Parigi con la sola compagnia del suo inseparabile violino rosso, uno strumento uscito dalle mani di Antonio Stradivari esattamente trecento anni fa, nel 1721.
La mattina del 23 ottobre del 1764 un servitore di Leclair, il giardiniere Paysant, preoccupato perché non lo vedeva da tempo, lo ritrovò riverso a terra nella sua stanza, ucciso da una coltellata alla schiena mentre stringeva al petto ciò che aveva di più caro al mondo, il suo Stradivari. L’omicidio era avvenuto almeno due mesi prima, per cui fu difficile risalire all’autore e persino al movente. La seconda moglie, un fratello, il nipote, lo stesso giardiniere, alcuni colleghi musicisti invidiosi di lui, tutti furono indagati senza venirne a capo. Il delitto rimarrà irrisolto. Di sicuro restò solo quell’ultimo fatale abbraccio al violino, che stretto al petto si inzuppò di sangue, mentre la mano che lo stringeva lasciò, decomponendosi, un’impronta nera indelebile. Per questi dettagli agghiaccianti lo strumento venne battezzato “Violon Noir”.
Perché vi racconto tutto questo? Perché c’è un sottile filo rosso – ma in questo caso dovrei dire nero – che lega noi piemontesi a Leclair, in quanto egli studiò a Torino, fu allievo del fondatore della scuola violinistica piemontese, Giovanni Battista Somis, e di Giovan Pietro Ghignone, illustre insegnante da cui assorbì le tecniche esecutive e le modalità espressive: possiamo quindi, a buona ragione, ritenerlo un “prodotto” della nostra Scuola. Leclair non fu solamente un virtuoso, ma anche un fantasioso compositore. Ha lasciato opere dalla vena ricca, spontanea, dove il gusto francese e la tradizione strumentale italiana si fondono in un colore unificante, che è poi diventato la base della Scuola violinistica francese discesa da lui.
Ma il filo nero che ci unisce non si è fermato agli studi effettuati a Torino, è continuato nel tempo, fino a coinvolgerci nel destino del suo famoso Stradivari “Le Noir”. Sopravvissuto al tremendo infortunio, in duecentocinquant’anni il violino cambiò di proprietario molte volte, girò il mondo, fu aggiudicato nelle aste, venne esibito, osservato; ma, oggetto di reverenziale timore e talvolta persino di scaramantica ansietà, non venne più suonato. Finché in anni più recenti la vedova di un collezionista avvicinò il nostro violinista Guido Rimonda, esso pure discendente in linea diretta dall’illustre Scuola Violinistica Piemontese, e glielo offerse nella speranza di poterne ritrovare la voce. Rimonda accettò, ma non fu facile. Non solo perché il violino era stato fermo per troppo tempo, ma proprio perché il sangue e la decomposizione ne avevano corroso la parte esterna, portando via un millimetro di legno. Ma Guido Rimonda (che i lettori di questa rubrica conoscono, oltre che come allievo di Uto Ughi, anche come il celebrato esecutore a cui si deve la riscoperta dell’intera opera di Viotti nel Viotti Festival di Vercelli) non si tirò indietro di fronte alle difficoltà e mise in atto tutte le possibili tecniche di “rieducazione”. E proprio quando, dopo prove ed esercizi di ogni tipo per riportarlo alla vita, scoraggiato, stava quasi per rinunciare all’impresa, come per miracolo il favoloso “Le Noir” ricominciò a suonare. Ed in che modo magnifico!
Fu impressionante, dopo un così lungo intervallo, sentire dentro quella cassa armonica e su quelle corde uscir fuori e diffondersi la musica composta dal suo primo proprietario, Leclair; ma anche brani musicali non ancor nati al tempo in cui Stradivari lo creò, infatti la grandezza del divino cremonese era fatta per il mondo a venire, non guardava certo la musica alle sue spalle.
Tutte queste cose le ho sentite raccontare non molto tempo fa dal Maestro Rimonda stesso, in un beato pomeriggio in cui alla Galleria San Federico volle raccontarci l’incredibile storia del “Violon Noir” e farne risuonare la voce. Io, lo confesso, non ne sapevo nulla, e non posso negare d’esserne rimasta enormemente colpita.

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Luisa Forlano
Luisa Camilla Forlano è nata a Boscomarengo, in provincia di Alessandria, e vive a Torino. Oltre all’amore per la Musica coltiva assiduamente quello per la Storia, in particolare per l’antichità classica, ma anche per i secoli a noi più vicini, quelli della rinascita della ragione. Ed è stato nel desiderio di far rivivere alcuni momenti storici cruciali che si è affacciata al mondo della narrativa: nel 2007 col suo primo romanzo “Un punto fra due eternità”, un inquietante amore ai tempi del Re Sole; e poi con “Come spie degli dèi” (2010), che conserva un aggancio ideale col precedente in quanto mette in scena le vicende dei lontani discendenti del protagonista del primo romanzo. In entrambe le narrazioni la scrupolosa ricostruzione storica costituisce il fil rouge da cui si dipanano appassionanti vicende umane, fra loro differenti, ma fortemente radicate nella realtà storica del momento.

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