Se Venezia muore

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Pillole1WebI marmi della Basilica di San Marco erano appena stati restaurati, in seguito al fenomeno dell’acqua alta del 30 ottobre 2018, quando la marea invase alcune decine di metri quadrati del millenario pavimento a mosaico, bagnando i portoni in bronzo e le colonne. È passato solo un anno, il 12 novembre 2019, San Marco, è arrivato «a un passo dall’Apocalisse», secondo il procuratore della Basilica. La marea ha coperto l’80% della città, una devastazione che ha riportato alla memoria “l’Acqua Granda” del novembre 1966. Lo sanno anche i bambini che l’acqua di mare contiene salsedine, è capace di corrodere e rovinare normalmente edifici e opere. A questo vanno aggiunti i rifiuti che l’acqua porta con sé. La piazza e la Basilica sono tra le zone più soggette all’acqua alta ma tutti i monumenti e i palazzi di Venezia sono a rischio. Gli edifici della città lagunare sorgono su palafitte che formano una vera e propria rete nel terreno e sono soggette a logoramento. Un logoramento che può certamente essere corretto ma con la dovuta manutenzione. Sono decisioni che andrebbero prese subito. La Basilica è stata invasa dalle acque sei volte negli ultimi 1.200 anni, ma ben tre negli ultimi 20. Un dato che evidenzia il rischio che corre la città, spiega Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, già direttore della Scuola Normale di Pisa e autore del volume “Se Venezia muore” (Einaudi). Si parla della Basilica di San Marco perché è uno dei monumenti più famosi al mondo, ma tutta la città rischia di morire. I cambiamenti climatici hanno una certa influenza, ma dietro ci sono chiare responsabilità dei politici nazionali e locali, anche delle istituzioni internazionali come l’Unesco. Si parla del Mose come dell’opera che avrebbe risolto o quantomeno arginato il problema dell’acqua alta a Venezia. L’idea poteva forse essere anche buona, ma si è dimostrata, come spesso avviene in Italy, una fonte inesauribile di corruzione. Il costo doveva essere di circa 2 miliardi, siamo arrivati a quasi 8. Le “malelingue” dicono che di questi 8 miliardi, 2 sono finiti in corruzione. Il fatto di essere completamente sommerso comporta un sacco di problemi per deterioramento delle parti e eccessivi costi di manutenzione. Ma soprattutto pare che, per come è stato progettato, non potrà mai funzionare. Questo governo dovrebbe avere il coraggio di nominare una commissione internazionale, di altissimo livello, incaricata di studiare gli atti relativi al Mose, e in tempi brevi dire se quest’opera possa davvero funzionare. Ci stiamo trastullando con il Mose da almeno 30 anni. Qualcuno ha trovato la gallina dalle uova d’oro. Un caso molto simile al TAV Torino-Lione, dove si sono già spesi ingenti capitali senza aver concluso ancora nulla di significativo, rifiutando di prendere in considerazione una seria analisi costi benefici che boccia il progetto, con la prospettiva di creare un danno ambientale e economico di enorme portata. Negli anni c’è stata una incapacità di affrontare i problemi di Venezia, non solo per quanto abbiamo visto in questi giorni, ma anche per il calo demografico: nel 1955 la città lagunare contava 176 mila abitanti, oggi sono appena 51 mila. Una città che perde abitanti è una città condannata ad estinguersi. A Venezia si registrano circa 1000 abitanti in meno ogni anno, ci sono centinaia di appartamenti vuoti. Nell’ultimo secolo non si è tenuto conto della condizione delicata di Venezia che ha un rapporto di simbiosi con la laguna: è un ecosistema di cui fanno parte pesci, alghe, vegetazioni, isole, esseri umani e monumenti. Negli ultimi decenni si sono scavate le bocche di porto, dove si è passati da una profondità intorno ai 10 metri a circa 60. E questo perché? Per far transitare prima le petroliere, poi le grandi navi da crociera, permettendo ai turisti di guardare piazza San Marco dall’alto. A detta degli esperti se non transitassero più le grandi navi, si potrebbero riportare le bocche di porto all’altezza originaria e qualcosa potrebbe cambiare in meglio. Ma la politica pensa agli utili del turismo, non pensa all’inquinamento, al rischio che una di queste possa sventrare Palazzo ducale. Ultimamente si è andati vicino a incidenti di questo tipo. Si difende l’economia locale, sostenuta dalle migliaia di crocieristi che si riversano in città, alla ricerca di souvenir. Si discute del biglietto di accesso a Venezia, ma non si vuole affatto bloccarle. E invece di riportare l’altezza delle bocche di porto alla profondità originaria, c’è chi vorrebbe costruire un secondo canale verso Marghera. Con tale cecità stanno costringendo Venezia a morire molto presto, forse già domani.

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Ernesto Scalco
Sono nato a Caselle Torinese, il 14/08/1945. Sposato con Ida Brachet, 2 figli, 2 nipoti. Titolo di studio: Perito industriale, conseguito pr. Ist. A. Avogadro di Torino Come attività lavorativa principale per 36 anni ho svolto Analisi del processo industriale, in diverse aziende elettro- meccaniche. Dal 1980, responsabile del suddetto servizio in aziende diverse. Dal '98 pensionato. Interessi: ambiente, pace e solidarietà, diritti umani Volontariato: Dal 1990, attivista in Amnesty International; dal 2017 responsabile del gruppo locale A.I. per Ciriè e Comuni To. nord. Dal 1993, propone a "Cose nostre" la pubblicazione di articoli su temi di carattere ambientale, sociale, culturale. Dal 1997 al 2013, organizzatore e gestore dell'accoglienza temporanea di altrettanti gruppi di bimbi di "Chernobyl". Dal 2001 attivista in Emergency, sezione di Torino, membro del gruppo che si reca, su richiesta, nelle scuole.

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