Quotidianamente i mezzi d’informazione ci propongono immagini di violenza nelle strade di Santiago, la capitale, ma anche in altre città del Cile. Finora nelle proteste sono morte 15 persone, mentre gli arresti sono stati più di mille. Sono emerse diverse testimonianze di abusi da parte delle forze di sicurezza; alcune organizzazioni femministe e per la difesa dei diritti umani hanno denunciato persino casi di violenze sessuali nei confronti di donne detenute per le proteste. Riporto in breve il messaggio lanciato da Amnesty International sulla situazione odierna in Cile. Abbiamo ricordato alle autorità del Cile i loro obblighi in materia di diritti umani. “Invece di paragonare le manifestazioni a uno stato di guerra e definire coloro che protestano nemici dello Stato, aumentando così il rischio che subiscano violazioni dei diritti umani, il governo dovrebbe prendere seriamente in considerazione le ragioni del malcontento”, ha dichiarato in una nota ufficiale Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe. “Le autorità cilene hanno l’obbligo di indagare in modo approfondito e imparziale sulle denunce di uso eccessivo della forza, arresti arbitrari, maltrattamenti e torture, e su ogni violazione dei diritti umani commessa durante lo stato d’emergenza, così come investigare sulle responsabilità nei casi in cui persone hanno perso la vita. Criminalizzare le proteste non è la risposta. Se le autorità cilene devono prendere misure per prevenire ed evitare azioni violente, in nessuna maniera queste azioni possono essere usate come pretesto per limitare i diritti alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica o per fare uso eccessivo della forza. La popolazione ha tutto il diritto e molte ragioni per protestare”, ha aggiunto Guevara-Rosas. È sempre complesso individuare con certezza le ragioni di proteste e violenze così dure e così improvvise; le cause sono molte e non solo un aumento del biglietto del metrò come si vuol far credere. Di solito ognuno tende a vedere quello che preferisce vedere, o a cercare le conferme di tesi e convinzioni che possiede già, fondate o no. È un momento difficile e anche pericoloso per il Cile, in cui sono venuti al pettine in modo convulso i nodi della diseguaglianza, della precarietà e della crisi di rappresentatività politica. Tutto il continente sudamericano ha fatto passi indietro negli ultimi anni; in quasi tutti i Paesi discriminazione e disuguaglianza sono rimaste la norma, elevati livelli di violenza, uccisioni, sparizioni e detenzioni arbitrarie. I difensori dei diritti umani affrontano quotidianamente un aumento della violenza nei loro confronti. L’impunità è rimasta dilagante. Da circa un decennio un flusso di migranti si sposta dai Paesi violenti e impoveriti dell’America centrale e del sud, con la speranza di raggiungere gli Stati Uniti per entrarvi e chiedere asilo. Si spostano in gruppo, soprattutto le persone più vulnerabili, donne sole con bambini piccoli, anziani, gay, e sono facilmente vittime di violenza in territorio messicano. A Tijuana, alla frontiera tra i due Paesi, il comitato strategico di aiuto umanitario raduna diverse organizzazioni laiche e religiose che offrono assistenza ai migranti, ma il rischio di essere vittime di violenze e rapimenti è molto alto. Tutto questo mentre il presidente USA, Trump, non ha perso tempo a mettere in atto azioni intrise di discriminazione e xenofobia, causando enormi passi indietro in tema di libertà civili e giustizia, con la firma di una serie di ordini esecutivi repressivi, che hanno indebolito i diritti umani di milioni di persone, anche all’interno degli Usa. Dal 2014, inoltre, gli Stati Uniti hanno iniziato a pagare il Messico, per rafforzare il controllo alle frontiere e respingere con la forza gli emigrati. Secondo Trump si tratta di un attacco deliberato alla sovranità del Paese. La statistica per chi ce la fa a varcare il confine non è rosea: l’80% non centra l’obiettivo e finisce nel vortice delle deportazioni. Il Messico è infatti il principale ostacolo per i migranti. Qui vengono bloccati e detenuti molti di quelli che tentano di passare il confine. La maggior parte di chi attraversa il Messico viene dal Nicaragua, dal Salvador, dal Guatemala, dal Venezuela e dall’Honduras. I più poveri, quelli che non hanno soldi per pagare un più sicuro transito con trafficanti, si affidano a bande criminali e finiscono per essere sequestrati o ridotti in schiavitù, prima di arrivare negli Stati Uniti. Ovviamente a questi dati sfuggono gli invisibili, quelli che hanno fatto perdere le proprie tracce nella traversata e non si sa più nulla di loro.
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