“ Chi si ferma ha più vita, ma chi va ha più strade”, Francisco Galvez, poeta spagnoloVanni tra i resti di Leptis Magna
Questa volta andiamo in Libia, che ho avuto la possibilità di vedere e conoscere più volte, esattamente 39 viaggi come turista all’inizio e poi come accompagnatore/guida turistica.
Quando, 2.000 anni fa, il Mediterraneo era veramente il Mare Nostrum, dall’Africa giungevano le merci più pregiate e Leptis Magna era il porto di partenza e un’importante città dell’Impero Romano.
I suoi resti si trovano a Khoms, non lontano da Tripoli dove il fiume Wadi Lebda sfocia nel mare.
La città dal 1982 figura nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO. Fu fondata da coloni fenici intorno al 1100 a.C.; il territorio dell’antica Leptis era ideale per loro, essendo un luogo centrale per i traffici con l’Africa e facile da difendere.
Si trattava di un promontorio poco elevato nei pressi del fiume Wadi Lebda, quindi con acqua a disposizione e passaggio con l’entroterra, presso una spiaggia ben riparata che permetteva l’ingresso alle navi. Con Sabratha ed Oea, odierna Tripoli, costituiva l’antica regione della Tripolitania, di cui Leptis era il centro amministrativo e fiscale.
Tutto ciò fino alla fine della III Guerra Punica nel 146 a.c. quando Leptis divenne parte della Repubblica Romana.
Come al solito Roma consentì alla città di conservare il proprio pantheon religioso. Vi aggiunse naturalmente i propri Dei, ma senza imposizioni di culto. Anche nella lingua Roma fu liberale, a Leptis si continuò ad utilizzare la lingua punica insieme al latino. Dall’area interna di Leptis provenivano molti prodotti particolarmente apprezzati dai romani: le zanne d’elefante per l’avorio, i leoni di Numidia per i circhi, la malachite per i gioielli, le pelli per i tappeti, gli schiavi e -dalla costa- il garum, una salsa di pesce molto ricercata. L’altra ricchezza era l’agricoltura, perché i Fenici prima, e i Romani poi, compirono il miracolo di trasformare i territori predesertici in frutteti e oliveti.
Leptis iniziò la sua grandezza soprattutto nel 193, quando un suo figlio nativo, il berbero Lucio Settimio Severo, divenne imperatore. Egli ovviamente favorì Leptis sopra le altre città di provincia, ingrandendola, abbellendola e facendone la terza città dell’Africa, rivaleggiando con Cartagine e Alessandria.
Nel 205, Settimio visitò la città e ne ricevette grandi onori. Anzitutto fece edificare un grande foro con capienti magazzini e la fece estendere sul territorio. Il porto naturale aveva tendenza a insabbiarsi, ma con le modifiche e i lavori di Settimio paradossalmente la situazione peggiorò, una delle cause del declino della città.
Durante la crisi del III sec., la città perse d’importanza, finché verso la metà del IV sec. venne abbandonata.
Quando si entra nella città la pima cosa che si incontra, all’incrocio del decumano massimo col cardo massimo, è il maestoso arco di Settimio Severo.
Certamente uno dei monumenti più celebri di Leptis in quanto racconta il legame artistico con Roma e il suo imperatore.
L’arco fu eretto nel 203 d.C., in occasione di una visita dell’imperatore Settimio Severo alla sua città natale, che sarebbe avvenuta due anni dopo, per rendere onore a lui e alla sua famiglia. L’arco è costituito da quattro imponenti pilastri che sorreggono una copertura a cupola. Ciascuna delle quattro facciate esterne dei pilastri era affiancata da due colonne corinzie, tra le quali erano scolpite decorazioni in rilievo rappresentanti le virtù e le grandi imprese dell’epoca dei Severi. Nel punto di intersezione tra la cupola e i pilastri si possono notare delle aquile con le ali piegate, simbolo della Roma imperiale. Sopra le colonne si trovano due bei pannelli che riproducono nei dettagli processioni trionfali, riti sacrificali e lo stesso Settimio Severo che tiene per mano il figlio Caracalla. Sulla facciata interna delle colonne sono riportate scene di campagne militari, cerimonie religiose e immagine della famiglia dell’imperatore.
Ad esso lavorarono artisti di Afrodisia, una antica città dell’Asia Minore, il cui stile troviamo anche nei pilastri della basilica e in tutte le altre costruzioni severiane: a tratti di tradizione romana se ne affiancano altri caratteristicamente orientali che preludono già all’arte bizantina.
Un altro dei monumenti più importanti è certamente il foro nuovo detto “Foro dei Severi”.
Voluto da Settimio, questo enorme foro fu costruito e circondato da colonne e portici come decorazioni. In quegli anni questo “moderno” edificio andò a sostituire il vecchio foro di Leptis Magna. Sulle facciate del foro furono scolpite moltissime statue e teste, alcune inquietanti, altre dedicate alla dea della Vittoria. Celebri e incredibilmente ben fatte sono le teste dei gorgoni fra le quali quella di Medusa (presa in prestito da Versace). Visto che Settimio Severo, per ragioni di spazio, non poté costruire un foro a lui dedicato nell’Urbe, Roma, come avevano fatto Cesare, Augusto, Nerva e Traiano, decise di dedicarsene uno nella città natia di Leptis.
A fianco del foro troviamo la piazza antistante il Ninfeo che segnava l’inizio di una via monumentale, fiancheggiata da portici colonnati, diretta al porto. La strada era colossale, larga più di 20 metri e lunga circa 400 fiancheggiata da 125 colonne in marmo cipollino, verde con venature bianche, e basi e capitelli in marmo bianco proveniente da Atene, su cui poggiavano le arcate che sostenevano gigantesche teste di medusa ognuna diversa dall’altra.
Poiché collegava le terme e il nuovo foro dei Severi con il lungomare, era una delle strade più importanti della città. Doveva essere estremamente suggestiva per la prospettiva del faro della città che, dal bacino portuale, si elevava perfettamente in asse con la via.
La Basilica Severiana, voluta anche essa da Settimio, fu una delle più grandi costruzioni edificate a Leptis, misurava 160 metri di lunghezza e 69 metri di larghezza. Era a tre navate, con una sala colonnata fornita di un’abside a ciascuna estremità. A fianco delle absidi stavano le lesene riccamente scolpite e raffiguranti la vita di Dioniso e le dodici fatiche di Ercole, entrambi favoriti della famiglia dei Severi. Il secondo piano era sostenuto da 40 colonne in granito rosso egiziano, che veniva usato spesso per gli obelischi.
Doveva essere chiusa su quattro lati da un colonnato di cui oggi restano solo due colonne di granito. Il suo disegno imitava quello della Basilica Ulpia a Roma.
La decorazione del marmo, specie nei disegni floreali, veniva realizzata con una tecnica speciale: il disegno era bucherellato in modo che la luce creasse giochi d’ombra.
Due lunghe iscrizioni celebrano l’inizio, a opera di Settimio Severo, e il completamento a opera di Caracalla, della basilica. In una seconda iscrizione si citano tutti gli imperatori, a cominciare da Nerva che lo hanno preceduto, con l’intento di legittimare il suo potere. La lista non include Commodo, Marco Aurelio e suo figlio Geta.
A questo punto credo che dovrò scrivere altri capitoli su questa città, perché mi rendo conto di essere solo all’inizio del racconto di questa meraviglia lasciataci dai nostri predecessori.