Nannina, la sarta

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Andare ad imparare un mestiere da un maestro non serve solo ad acquisire destrezza e conoscenze per diventare un buon artigiano ma, se il maestro o la maestra sono anche persone sagge e di buona reputazione, diventa scuola di vita. Aiuta giovani e giovanette a diventare persone ammodo.

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Come potremo verificare con questa storia.

Giovanna Sorrentino era una valente sarta. Tutti la conoscevano come “Nannina la cusetora”: la sarta.

La mattina si svegliava presto. Mai dopo le cinque.

Prima che la pesante sveglia metallica battesse l’ora di alzarsi, lei era già pronta a tacitarla. Non voleva disturbare gli altri familiari. Subito si fiondava alla macchina da cucire per lavorare: il lavoro era molto. Quando si sarebbe svegliato il marito Antonio avrebbero fatto colazione assieme.

In prossimità delle feste comandate gli abiti da confezionare diventavano un numero notevole. Soprattutto in estate quando si avvicinava la festa patronale di S. Antonio, la più importante di tutte.

Le donne ci tenevano a fare bella figura durante la festa e, soprattutto, quando partecipavano in corteo alla processione della domenica. Tutto il paese sarebbe stato in strada, sarebbe accorsa gente anche dai paesi vicini: bisognava fare bella figura.

Mentre lavorava nella stanzetta, che fungeva da laboratorio, la sua mente andava ai faticosi trascorsi della sua vita. La gavetta era iniziata quand’era bambina.

Già a sette anni i genitori la misero a bottega dalla sua madrina per imparare il mestiere. A otto anni rimase orfana di madre. I tempi erano duri allora e dovette, già a otto anni, cominciare a guadagnare qualcosa per la famiglia.

Verso i quattordici era in grado di cucire un vestito da sola. La sua madrina, avendo già intuito che Nannina aveva talento, la spronò a mettersi in proprio. Si fece garante lei affinché potesse acquistare una macchina da cucire. Agli inizi la “commara” le passava del lavoro. Ben presto diventò autonoma in tutto. Agli inizi di sera si lavorava a lume di candela.

Giovanissima, come si usava allora, si sposò con Antonio, valente falegname. Lui stesso provvide a costruire della bellissima mobilia elegante e ricca di intagli.

Siamo tra le due guerre mondiali. La vita era davvero difficile, per molti mettere in tavola il piatto di maccheroni era un’impresa. Ma ogni anno nel paesello di Casola, in estate, arrivava la provvidenza: un gran signore dalla grande città di Napoli. Costui era giudice di Corte d’Appello e in paese possedeva una vasta tenuta. Il suo arrivo coincideva con un aumento delle commesse. C’era più benessere per tutti. Nannina gli confezionava camicie e biancheria.

Le sue prime allieve furono le tre figlie che, tra tutti gli altri figli, avevano mostrato predisposizione al cucito: Mafalda, Eufrasia e Maria. Divennero bravissime sarte.

A partire dagli Anni Cinquanta, ben presto, a queste prime allieve, si aggiunsero altre ragazze. Le mamme accompagnavano le figlie da Nannina dicendo:”Voi siete persona gentile e ammodo. Vorrei che insegnaste a cucire a mia figlia. Già che ci siete insegnatele anche la vita.” Il suo carattere e la bravura ne facevano una maestra ambita.

Ben presto la stanzetta laboratorio si riempì di allieve: Felicia, Giuseppa, Anna, Maria e tante altre. Nacquero amicizie che durano una vita. Insegnava loro anche a prendere le misure e tagliare le stoffe. Cosa impegnativa e difficile. Per le misure usava un suo metodo particolare incidendo tacche su una sottile striscia di carta.

Un giorno molto atteso dalle ragazze era l’otto Maggio quanto in corteo, a piedi, si recavano in pellegrinaggio al santuario di Pompei, distante undici chilometri. Con Nannina in testa le ragazze camminavano felici cantando: era una vera festa. Il lungo cammino da percorrere diventava occasione di innocenti scherzi.

Dato il suo carattere equilibrato le ragazze ricorrevano a lei anche per consigli inerenti questioni di cuore. A volte qualche ragazza arrivava prima del solito e le diceva:” Nannina, vi devo chiedere un parere. Un ragazzo, che conosco appena mi ha fermata, vuole fidanzarsi con me. Si chiama Giovanni, abita proprio in questo vicolo. Mi date un consiglio, lo conoscete?” Nannina le diceva:” Prima di tutto parla con i tuoi, è giusto così. Sì, lo conosco e mi informo meglio. Comunque queste sono cose importanti meglio essere prudenti ma tu, soprattutto, ascolta il tuo cuore.”

Nonostante che Nannina sembrasse tutt’altro che di carattere deciso, c’era chi si rivolgeva a lei anche per problemi seri e difficili da risolvere.

In quel caotico e piccolo atelier affollato di ragazze che lavoravano sedute sui gradini, ridendo e scherzando e sognando improbabili principi azzurri, non mancavano episodi curiosi come quando arrivavano certe donne contadine con un taglio di stoffa, dicendo:” Buongiorno donna Nannina, ho questo bel taglio di stoffa. Vorrei farmi cucire da voi un bell’abito ma, voi lo sapete, non abbiamo molti soldi. Vi posso pagare con i nostri prodotti della terra.” Nannina annuiva. Sapeva che non avrebbero barato.

Allora arrivavano cesti ricolmi di verdura freschissima e meravigliosa,frutta variopinta dolce e succosa. Spesso, soprattutto in prossimità delle feste, anche qualche cappone e un bel fiasco di rosso. Nannina invitava le ragazze a mangiare la frutta e, quando c’era abbondanza, divideva le verdure anche con le ragazze.

Quando un vestito era stato completato e rifinito con attenzione, veniva il momento della consegna alla cliente. La clientela era interamente femminile. Era il momento tanto atteso dalle sue nipotine. Queste, assieme a qualche amichetta, erano le incaricate della consegna a domicilio. Era un compito ambito poiché le clienti davano, alle giovanissime ragazze, una piccola mancia utile per acquistare leccornie e qualche giocattolo che in quei tempi davvero scarseggiavano.

Come tutte le cose di questo mondo anche il laboratorio di Nannina arrivò al capolinea. La nostra provetta sarta era diventata anziana e stanca.

Quello che comunque diede il colpo mortale a quel laboratorio, come a tanti altri, fu la diffusione delle confezioni pronte . Il pret-à-porter.

Un mondo spariva.

Se sia stato un bene non so. So che è sparito un mondo vero.

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