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Comune di Caselle Torinese
giovedì, Maggio 16, 2024

    Jeanseria Battuti

    È il mese di Aprile del 2135. Una famigliola casellese si accinge ad andare a fare
    delle compere. I ragazzi hanno bisogno di jeans nuovi. È sabato pomeriggio, il
    momento di una capatina al nuovo negozio della città così alla moda. Hanno
    conservato la tradizione delle compere in negozio. Una pratica antica in un mondo
    tutto computerizzato.
    Il loro dronecar li porta in centro. Il computer di bordo individua un parcheggio
    proprio in centro, nella piazza principale. È un parcheggio sotterraneo, si trova sotto
    un modernissimo complesso costruito proprio nella piazza Urbanlife. Una volta aveva
    il curioso e strano nome di Boschiassi.
    Il complesso dove si trova il parcheggio si chiama “Il Castello”. Un nome vecchio e
    desueto. Ora in questo luogo c’è un centro grande e luminoso tutto dedicato alle
    attività interattive. Pare che qui, una volta, ci fosse un edificio che era un castello.
    Il team manager della città ha deciso di abbattere questo vecchio e inutile manufatto,
    ma ha voluto conservare questo strano nome.
    La nostra famigliola si avvia verso il negozio, posto proprio di fronte al centro.
    È un antico edificio fatto tutto di mattoni, uno dei pochi che è stato risparmiato dalla
    politica di modernizzazione avviata dal team manager cittadino.
    Questo edificio è una chiesa costruita nel lontano 1700, pare che qui si riunissero
    delle persone per fare curiose pratiche.
    Ha un aspetto solenne, importante. Sulla facciata campeggia una scritta luminosa:
    Storica Jeanseria.
    L’edificio fu acquistato da una società che realizza negozi e ristoranti in complessi
    antichi. I manager dicono che è per conservarli. In realtà il loro fascino arcaico attira
    clienti.
    I nostri amici entrano e subito sono catturati dalla solennità del luogo. La navata è
    ingombra di espositori per abiti, i ragazzi subito cominciano a curiosare alla ricerca di
    jeans alla moda.
    La mamma e il papà osservano curiosi le mensole degli altari dove sono esposti
    accessori e ninnoli vari. Dietro il grande altare, qui sono esposte le cose più eleganti e
    costose, c’è il reparto calzature. Le scarpe sono esposte sugli scranni di legno di
    quello che una volta si chiamava coro. Nessuno sa bene a cosa servisse.
    Il papà guarda con gli occhi sbarrati l’arredo antico che è stato lasciato al suo posto.
    Dice alla moglie:” Chissà con che tipo di computer facevano questi grandi quadri?”,
    “Ma no – risponde la consorte – una mia amica storica mi ha detto che li facevano a
    mano, con certi attrezzi chiamati pennelli. Erano davvero bravi. Qualcuno ha provato
    a farli come facevano loro, ma nessuno c’è riuscito.”
    “Cos’è quel grande mobile lassù in alto, a cosa serviva?”
    “ Quello? Quello è un organo, serviva per suonare. Suonava utilizzando l’aria, mi ha detto la mia amica.”
    “ Con l’aria?!? Come è possibile senza un computer?”
    Intanto i ragazzi hanno terminato le compere. Hanno usato, come tutti, il
    selezionatore virtuale per fare le prove e controllare le taglie. I droni-fattorini
    consegneranno la merce a casa.
    La famigliola lascia la jeanseria. Mentre si avviano verso il parcheggio
    si girano a dare un’ultima occhiata alla facciata e notano strane cose, una croce e
    delle sfere, su in alto. “A cosa servono e cosa significano?”, chiedono i ragazzi.
    “Boh! Non lo sappiamo – rispondono gli adulti – saranno segnali particolari.”
    Si accomodano sul loro dronecar che il computer del parcheggio ha già fatto uscire
    dal parcheggio. Il dronecomputer traccia la rotta e comincia a volare verso casa. Fine della storia.
    Fantasie? Sì, certo. Tuttavia c’è del vero perché già da un bel po’ molti edifici di
    pregio stanno diventando luoghi commerciali di vario tipo. Qualcuno dice:” È per
    salvarli.”
    Forse. Tuttavia il patrimonio storico artistico è vero e sincero testimone delle vicende
    degli uomini e delle donne.
    Si salva qui e ora. Per farlo occorre consapevolezza e senso dell’identità.
    Se continuiamo con il ritmo del depauperamento degli ultimi decenni, non rimmarrà
    nulla da trasformare in jeanseria.
    Vittorio Mosca

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