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venerdì, Aprile 19, 2024

    Nell’Amazzonia venezuelana, il popolo dei Piaroa

    Una onesta divergenza è spesso segno della salute del progresso”

    Mahatma Ghandi

    Dopo quanto ho scritto il mese scorso sulla Amazzonia venezuelana, mi sembra doveroso parlare di un gruppo indigeno che vive in questa remota regione sulle rive del fiume Orinoco.
    I Piaroa sono un gruppo etnico del Venezuela, con una popolazione stimata di circa 15.000 persone, principalmente di fede animista che parla una lingua propria.
    Vivendo all’interno della foresta amazzonica, ebbero il primo contatto con l’uomo bianco negli Anni Quaranta del Novecento. L’incontro ha apportato modifiche allo stile di vita dei Piaroa che vivevano di pesca e coltivazione, fino all’arrivo dei primi evangelizzatori che apportarono trasformazioni ai costumi e alle loro tradizioni.
    Nonostante molti si siano convertiti al cristianesimo e l’influenza degli sciamani, custodi delle antiche fedi, sia diminuita a causa della modernizzazione, c’è ancora l’energia religiosa dei loro avi. In questa speciale visione del mondo le divinità sono collegate alla sfera del naturale, tanto da abitare in animali e piante. Le divinità che scendono sulla terra sotto forma animalesca sono chiamati ‘Tiara’, a cui gli sciamani si rivolgono attraverso i loro canti per ottenere poteri e invocare gli spiriti della terra in cerca di protezione.
    Da sottolineare che l’Olimpo Piaroa è abitato da divinità imperfette che ricordano molto i litigiosi e imperfetti umani. Eppure, questa popolazione di litigioso ha ben poco.
    L’Ukuo è il rispetto per se stessi, per gli altri, per la natura e per gli esseri spirituali. È proprio la loro etichetta di pacifisti a rendere i Piaroa famosi tra gli antropologi. Non hanno accezione alla violenza, non rubano e non mentono. Nelle loro leggende non si ha nessun riferimento al concetto di guerra; questa però, non è stata continua nel corso della loro storia poiché ci sono stati conflitti con le tribù vicine dei Waenepi per il controllo delle importanti fosse d’argilla della valle.
    Il loro modo di vivere, riassunto nella parola Ukuo, si riflette anche nel sistema sociale. Sono fortemente egualitari, sono contrari all’accaparramento di risorse, non si notano diseguaglianze o privilegi; non esistono neanche tribunali o giudici: l’autogoverno e la legge della coscienza sono la sola legge Piaroa.
    Per tutti questi motivi, è facile capire perché sono stati descritti da alcuni studiosi come una delle poche società anarchiche funzionanti.
    In tema di tradizioni, spicca la danza Warime. Si tratta di una cerimonia annuale di purificazione, ma anche di iniziazione per i giovani uomini. Partecipare al Warime significa entrare in un carnevale di maschere e costumi confezionati nelle settimane precedenti dai Piaroa stessi. L’obiettivo delle mascherate è rappresentare spiriti animali o mitologici, e per raggiungere questo obiettivo vengono usati materiali come la corteccia, le fibre e i coloranti naturali, mentre i dettagli sono dipinti in argilla.  Le facce delle maschere sono delle forme di cesto poi ricoperte da una sostanza flessibile molto simile alla corteccia, sulla quale a sua volta viene spalmata della cera d’api. Durante la cerimonia, tutte le cose importanti fatte dai membri della tribù, buone o cattive, vengono enunciate davanti a tutti. La tribù ascolta in silenzio per onorare le cose buone e purificare l’individuo dalle cose cattive.
    I Piaroa si considerano Wothuhe, “popolo che conosce”. Che cosa fa per conoscere? Si droga. Sono esperti di fonti vegetali inebrianti e anche molto originali nella maniera di usarle: troviamo sostanze come il tuhuipa, estratto dalla liana dell’ayahuasca. Le fonti allucinogene sono centrali sia nelle pratiche sciamaniche che nelle saghe mitologiche. Importante è il ruolo dei semi di yopo, gli sciamani ne fanno un uso costante e per diversi motivi: per dare forza, per togliere i postumi di una sbornia, per uscire dalla pigrizia, ma soprattutto per avere delle visioni profetiche e utili alla comunità.
    Per almeno 4000 anni, lo yopo, che viene estratto dalla pianta di anadenanthera peregrina, è stato usato dagli sciamani del Sud America per indurre stati alterati di coscienza.
    Troviamo quindi i problemi dovuti all’eccesso di queste sostanze. Se si resta nel mondo delle visioni troppo a lungo si corre il rischio di non tornare nel mondo reale. Sono noti casi di sciamani di cui si dice che hanno perso l’equilibrio fra la vita visionaria e quella reale consumando troppo yopo e vivendo un’esistenza sempre più isolata.
    Queste figure, nella società Piaroa, praticano riti magico-terapeutici direttamente sui malati, in questo caso viene usato proprio lo yopo, ma è un’eccezione piuttosto che una regola.
    Il praticantato di un novizio sciamano è lungo e a tratti traumatico, ma niente in confronto al rito iniziatico. La cerimonia è suddivisa in più fasi, ed inizia con il riconoscimento della distinzione fra il bene e il male nelle esperienze visionarie. Solo questa prima fase può durare più di un anno. Qui il novizio deve imparare a riconoscere le intenzioni delle persone, il passaggio degli eventi sociali recenti e le malattie, il significato dei rumori e dei movimenti degli animali, e gli spiriti malevoli della foresta. Dopo aver succhiato la corteccia dell’albero del tuhuipä, inizia ad inalare yopo. La frequenza d’assunzione di queste due droghe aumenta gradualmente. Seguono allucinazioni della durata di 2-8 minuti, che poi diventano 5-10 minuti nella seconda fase di assunzioni e più di 30 minuti nella terza.
    L’iniziazione sciamanica prevede il controllo della sofferenza fisica mediante prove di resistenza. La prima prova fisica riguarda la pressione di una corda intrecciata con dozzine di formiche pungenti appoggiata su varie parti del corpo dell’iniziato. La seconda prova, invece, vede l’uso delle punture di vespa: per i Piaroa le punture di vespa sono portatrici di fortuna nell’attrarre una sposa e nella caccia. Come se tutto questo non bastasse, si arriva a 48 ore di digiuno e di astinenza dal sonno.
    La prova finale consiste di nuovo in un dolore fisico. Stavolta a pungere è la razza di fiume, che tramite la perforazione della lingua del novizio lo libera dagli elementi velenosi che stanno nel sangue. Si dice che questa prova ristabilisca nei novizi uno stato di “sangue freddo” e dia potere alla conoscenza che hanno assimilata. Alcuni novizi, per avere “maggior forza”, scelgono di farsi perforare due volte.

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    Giovanni Cravero
    Giovanni Cravero
    Giovanni Cravero meglio conosciuto come Vanni, nato nel 1952 a Caselle di professione Agente di Commercio da sempre e da sempre con la grande passione di andare in giro ovunque sia possibile. Ho cominciato a muovermi all’età di 17 anni e senza soste questo mi ha portato a vedere ad oggi oltre 80 Paesi in tutti i 5 continenti, oltre 800 località e oltre 200 Siti Unesco, che come mi dice Trip Advisor rappresentano oltre il 60% della Terra.

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