Si chiamava Johann Paul Aegidius Martin Schwarzendorf ed era nato nel 1741 in un paese della Baviera denominato Freystadt. Sono sicura che, detto così, il nome non vi dirà molto. Però se aggiungo che, emigrato in Francia, si fece chiamare Jean-Paul Martini, forse a qualcuno di voi si accenderà una candelina nella mente.
In effetti si tratta di un compositore tedesco naturalizzato francese che, italianizzando il suo cognome in Martini, come a quel tempo imponeva la moda, intraprese una carriera non banale di musicista alla corte francese, dove, negli anni ’70 e ’80 del ‘700 diede alle scene parecchie opere di successo. Fra cui (per dirne una) “L’amoureux de quinze ans”, lavoro che toccò un alto grado di popolarità, influenzò il gusto corrente e lo indirizzò verso un genere musicale gradevole, sereno e privo di complicazioni intellettuali. Molto legato alla regina Maria Antonietta, fu “radiato” durante la Rivoluzione francese, salvo poi riprendere quota col regime napoleonico e ottenere la cattedra di composizione al Conservatorio di Parigi; cosa che non gli impedì di tornare, con la restaurazione, fra le braccia dei rincasati Borboni, che lo assunsero come “sovrintendente per la musica di corte”. Il punto massimo della sua carriera lo raggiunse poco prima di morire, nel 1816, con un “Requiem” scritto in onore di Luigi XVI ed eseguito nel giorno anniversario della decapitazione del re.
Ma il suo nome non sarebbe giunto fino a noi se non fosse anche stato l’autore di una canzone – una sola – che ha superato i secoli e continua ad essere amata, citata, eseguita, riproposta e arrangiata all’infinito: “Plaisir d’amour”. Fin dalla sua nascita attorno al 1785 questo breve componimento (scritto su parole del poeta Claris de Florian) dilagò a macchia d’olio in ogni ambiente, fra il popolo minuto come fra l’aristocrazia, conquistando il cuore di tutti. Maria Antonietta, buona esecutrice d’arpa e clavicembalo, ne era talmente infatuata che non mancava mai di eseguirlo durante i suoi amabili pic-nic al Trianon, immersa in quella finta vita di campagna che veniva chiamata “Arcadia”. C’è addirittura chi sostiene che nei giorni della sua prigionia nella Torre del Tempio si sentisse la sua voce intrisa di malinconia intonare quel canto che volava al di là delle inferriate.
Effettivamente lo stile arcadico di questa musica sembra fatto apposta per solleticare i sentimenti più intimi e teneri. Ad ogni generazione la canzone viene riproposta e la favoletta della perfida Silvie che fa soffrire il povero innamorato e gli dice “ti amerò” mentre si appresta a tradirlo, torna a vivere e ad espandersi sulle ali del suo discreto afflato romantico. Fare la storia di tutte le interpretazioni è quasi impossibile, tanto sono state numerose. Durante l’intero Ottocento la canzone non mancò mai in nessun salotto, raggiungendo anche gli ambienti più vasti con l’aiuto di Hector Berlioz che nel 1859 ne predispose uno splendido arrangiamento sinfonico. Non ci fu mai un cantante capace di sottrarsi al fascino di interpretarla. Tradotta in varie lingue, aveva notorietà in Russia come a Costantinopoli, negli Stati Uniti come in Australia. Nel Novecento tutti i tenori più famosi, come Beniamino Gigli o Tito Schipa, hanno fatto a gara per darne magistrali interpretazioni. Ma fu soprattutto il cinematografo ad utilizzarla in modo quasi ossessivo come colonna sonora; ricordo Irene Dunne che la canta nel film “Un grande Amore” (1939), e Montgomery Clift che con l’aiuto di queste note indelebili corteggia Olivia de Havilland in “L’ereditiera” (1945): da questa performance il compositore Aaron Copland ricavò un’orchestrazione che gli valse il premio Oscar nel 1950. In anni più vicini è stata memorabile l’interpretazione sui generis data da Elvis Presley, ma anche quella di una Brigitte Bardot dalla voce quasi infantile. Mireille Mathieu, Helmut Lotti, Nick Drake, Andrea Bocelli, ecc. tutti vi si sono cimentati. Personalmente ricordo con emozione il filo puro e terso della voce di Joan Baez in una stilizzazione di non basso valore. Anche Nana Mouskouri ha dato il suo contributo, e di recente, unita in duetto all’intramontabile Baez, ne ha sfornato una nuova toccante versione. Invece l’esecuzione di Karrin Allyson è da segnalare per l’arrangiamento: è incredibile come da un testo così datato si possa sempre cavar fuori qualcosa di nuovo e di imprevedibile! Ma se da questo gran mare fossi costretta a fare una scelta, penso che il primo premio lo darei al solito Franco Battiato (album “Come un cammello in una grondaia”) che quasi tocca il sublime: molto rispettoso del contesto, non lo forza in nulla e lo interpreta sempre in punta di voce, come se confidasse un segreto. Niente da fare, “Plaisir d’amour” è proprio una canzone indistruttibile!
Plaisir d’amour ne dure qu’un moment.
chagrin d’amour dure toute la vie.
J’ai tout quitté pour l’ingrate Sylvie.
Elle me quitte et prend un autre amant.
Plaisir d’amour ne dure qu’un moment.
chagrin d’amour dure toute la vie.
Tant que cette eau coulera doucement
vers ce ruisseau qui borde la prairie,
Je t’aimerai, me répétait Sylvie.
L’eau coule encore. Elle a changé pourtant.
Plaisir d’amour ne dure qu’un moment.
chagrin d’amour dure toute la vie.