Se uno di questi giorni vi venisse la voglia di occuparvi di Franz Joseph Haydn, e magari fare il punto sulla sua produzione di 104 sinfonie (o 107 secondo un’altra numerazione), di sicuro resterete sbalorditi di fronte a un numero così elevato. Siamo prigionieri del “nove e non più nove”: dopo Beethoven ogni sinfonia ha assunto una sua specifica fisionomia, è diventata un racconto in musica non confondibile con nessun altro, al punto che Mahler coniò il celebre motto secondo cui “una sinfonia è tutto un mondo”. Si potrebbe perciò credere che le sinfonie haydniane, in quanto così numerose, siano un insieme informe e ripetitivo, un modello poco differenziato, uno stile basato sull’autoreplicazione. Nulla di più sbagliato!
Haydn ci stupisce proprio per l’enorme differenza esistente fra una sinfonia e l’altra, per la vena sempre nuova, le strutture in perpetuo divenire. Nato nel 1732 a Rohrau, ai confini coll’Ungheria, è stato giustamente considerato il papà di questo genere musicale, di cui peraltro non fu l’inventore. La sinfonia non nacque in ambito austro-tedesco, ma in Italia, negli anni ’40 del ‘700, e precisamente a Milano coi lavori di G.B. Sammartini. Era un modello strumentale tripartito secondo la forma dell’ “ouverture” italiana, a cui via via si mescolarono in parti uguali milanesità e napoletanità. In tale assetto fu esportato Oltr’alpe e divenne la base su cui il giovane Haydn iniziò a lavorare inserendo quadripartitismo e legami armonici fra i temi. Può sorprendere che la sua sinfonia Nr.1 (buffamente nota col Nr.37), scritta a venticinque anni, rechi già tutte le caratteristiche del suo linguaggio e sia già strutturata in quattro movimenti. Imbevuto nella sensibilità dei tempi nuovi, in quel moderno genere musicale Haydn vide un meraviglioso campo di scoperte e di avventure dello spirito.
In genere il cospicuo materiale viene diviso in sei periodi. Le 15 sinfonie iniziali appartengono tutte allo stile italiano; da ammirarsi è il profluvio dei temi mentre il basso è ancora sostenuto dal clavicembalo, con archi e qualche strumento a fiato in risalto. Dopo il 1761, ormai alle dipendenze del principe Esterházy, la sua ricerca si rivolse a uno stile più concertante, che oggi diremmo “barocco”: a tale periodo appartengono oltre 20 sinfonie, ricche di spunti personalissimi, con ampi adagi e accenni al folclore magiaro: è come se, salendo una scala, egli si voltasse un attimo all’indietro per rimirare il tempo che fu, vedesse l’imperturbabilità serena della musica barocca e decidesse di darle l’addio. Il contatto con le sperimentazioni di Berlino e di Mannheim e alcuni momenti esistenziali che lo portarono a vivere ansie e patemi, lo spinsero negli anni dal 1766 al 1772 a coltivare il tono minore: è il periodo “romantico” di Haydn, un blocco di 19 sinfonie con temi incisivi, luttuosi, sofferti: “allegri agitati” e spirito di ribellione dovunque. La sua strumentazione, coinvolta e trascinata da quel clima “Sturm und Drang”, si fa più ricca, il racconto si condensa, spesso titoli coloriti e bizzarri contrassegnano i vari lavori, che restano fra i più perfetti e progrediti del tempo ed i cui motivi icastici non possono non farci presagire le future atmosfere beethoveniane.
A contrappasso di questi turbamenti seguì una fase più equilibrata. L’inserimento di un adagio introduttivo diede rilievo ai temi del primo movimento e generò maggiore limpidezza formale e suono più unitario agli altri tre. Cominciò così la grande stagione haydniana orientata verso il sole, la tenerezza, l’umorismo, 26 sinfonie pressoché tutte in maggiore, filosofia e bonomia che vanno a braccetto, “una musica” – fu detto – “che ci fa diventare più intelligenti quando l’ascoltiamo.”
A quegli anni risalgono anche le 11 sinfonie che scrisse per la “Loge Olimpique” di Parigi, impressionando enormemente un pubblico fra i più esigenti d’Europa che in quelle “azioni coreografiche” aventi per protagonista l’orchestra seppe percepire la sublimazione del pensiero illuminista. L’allargarsi della fama portò Haydn ai due viaggi trionfali a Londra del 1791 e 1794, dove scrisse una doppia serie di sinfonie (12 in tutto) che toccano l’apice della sua caleidoscopica capacità di rinnovarsi. Nulla di complicato, mai, anzi una musica che si umanizza attraverso la semplificazione. Adagi cantabili in cui il dolore si fa purezza, indimenticabili temi con variazioni, minuetti monumentali ormai privi di qualsiasi aggancio con la danza rococò, ubriacature ritmiche nei finali… fino alla sinfonia Nr.104 detta “London”: il vero capolinea. Tornato a Vienna, nei quindici anni che ancora gli restavano da vivere Haydn non sentì più il bisogno di approcciare la forma della sinfonia. La strepitosa avventura delle sue “104” si fermò sull’ultima, nell’Andante in cui tutt’un mondo di felicità è evocato con soave insistenza dalla voce di un flauto. È il passato che non tornerà più. Il “testimone” era già nelle mani di un altro…
Luisa Forlano