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venerdì, Maggio 17, 2024

    Ministero della transizione ecologica?


    Nel nuovo governo italiano, guidato da Mario Draghi, come si sa, è nato un ministero con questa precisa definizione. Sembrerebbe che a proporlo sia stato Beppe Grillo, personaggio discreto come comico, ma con discutibili qualità di politico e ambientalista. Non tutti sanno che altri Stati ci hanno già preceduto. In Francia, Spagna, Svizzera e Costa Rica, i compiti del ministero sono stati definiti, grosso modo, così: attuare le politiche del governo in materia di sviluppo sostenibile, ambiente e tecnologie verdi, transizione energetica, energia, clima, prevenzione dei rischi naturali e tecnologici, sicurezza industriale, dei trasporti e delle infrastrutture. Nota curiosa: in tutti i 4 Paesi al vertice ci hanno messo una donna. Non conosco le qualità di ciascuna, ma penso non sia una scelta sbagliata. Da noi, invece, si è scelto Roberto Cingolani, professore di fisica, pioniere della robotica e dell’intelligenza artificiale, esperto di nanotecnologie, capo del settore innovazione del gruppo aerospaziale Leonardo. Curriculum di tutto rispetto, ma non mi sembra di scorgere alcuna vena ambientalista. Politicamente, si dice, sarebbe “vicino” a Renzi, il che, a mio avviso, non è un merito. Sono curioso di vedere le sue mosse. A tal proposito ho letto che un certo Gael Giraud, ha pubblicato, nel 2015, un volume dal titolo: “Transizione ecologica. La finanza a servizio della nuova frontiera dell’economia”. L’autore, è un economista, a lungo direttore di ricerche al “Centre National de la recherche scientifique” di Parigi, oggi docente alla Georgetown University di Washington. Giraud ha anche parlato dell’argomento in occasione di diversi incontri scientifici, con la presenza d’ imprenditori, anche del nord Italia, e tra di loro sembrerebbe abbia trovato non solo sensibilità ma anche “consapevolezza”. Giraud, tra l’altro, spiega il nesso tra sistema economico, modello industriale e sanità: “Una volta raggiunto il contenimento della pandemia, un’altra pericolosa trappola sarebbe quella di limitarci a ripristinare il modello economico di ieri, accontentandoci di migliorare in modo marginale il nostro sistema sanitario. È urgente capire che la pandemia Covid-19 era prevedibile, sebbene non sia stata prevista dai mercati finanziari. La distruzione dell’ambiente che la nostra economia ha esercitato per oltre un secolo ha una radice comune con questa pandemia. Siamo diventati la specie dominante sulla Terra, siamo in grado di spezzare le catene alimentari di tutti gli altri animali, ma siamo anche il miglior veicolo per gli elementi patogeni. In termini di evoluzione biologica, per un virus è molto più semplice infettare gli esseri umani che la renna artica, già in pericolo a causa del riscaldamento globale. E questo sarà sempre più così, perché la crisi ecologica decimerà altre specie viventi. È soprattutto la distruzione della biodiversità, in cui siamo da tempo impegnati, può favorire la diffusione dei virus. Oggi molti ne sono consapevoli: la crisi ecologica ci garantirà pandemie ricorrenti. Accontentarsi di dotarsi di mascherine ed enzimi per il prossimo futuro equivarrebbe a trattare solo il sintomo. Il male è molto più profondo, ed è la sua radice che dev’essere curata. La ricostruzione economica che dovremo realizzare, dopo essere usciti dal tunnel, sarà l’occasione per attuare le trasformazioni che, anche ieri, sembravano inconcepibili a coloro che continuano a guardare al futuro attraverso lo specchietto retrovisore della globalizzazione finanziaria. Abbiamo bisogno di una reindustrializzazione verde, accompagnata da una rilocalizzazione di tutte le nostre attività umane. Una visione che parte da quattro grandi progetti: sostituire con fonti energetiche rinnovabili gli idrocarburi fossili che causano inquinamento; realizzare il rinnovamento termico di tutti gli edifici, pubblici e privati; passare ad una mobilità verde che privilegi il trasporto di persone e merci su rotaia; inventare un’industria verde che venda servizi prima che merci, per consentire la sua quarta rivoluzione industriale, quella del riparabile e riciclabile, e riduzione dei consumi di acqua, energia, risorse minerarie e rifiuti. Una rivoluzione industriale che avrebbe dei costi enormi, ai quali il settore privato non potrebbe provvedere da solo. La crescita verde trainata da investimenti privati è per buona parte un mito; senza un impulso politico che vada al di là della logica finanziaria di breve termine questi investimenti non si faranno mai”. Una domanda mi viene spontanea: sarà proprio su questi termini che si è voluto dare fondamenta alla creazione del nuovo Ministero? Nota curiosa: proprio su questo si è tesa la trappola ai “grillini”, per convincerli a far parte del nuovo governo, composto da alcune forze politiche ben distanti da questi concetti.

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    Ernesto Scalco
    Ernesto Scalco
    Sono nato a Caselle Torinese, il 14/08/1945. Sposato con Ida Brachet, 2 figli, 2 nipoti. Titolo di studio: Perito industriale, conseguito pr. Ist. A. Avogadro di Torino Come attività lavorativa principale per 36 anni ho svolto Analisi del processo industriale, in diverse aziende elettro- meccaniche. Dal 1980, responsabile del suddetto servizio in aziende diverse. Dal '98 pensionato. Interessi: ambiente, pace e solidarietà, diritti umani Volontariato: Dal 1990, attivista in Amnesty International; dal 2017 responsabile del gruppo locale A.I. per Ciriè e Comuni To. nord. Dal 1993, propone a "Cose nostre" la pubblicazione di articoli su temi di carattere ambientale, sociale, culturale. Dal 1997 al 2013, organizzatore e gestore dell'accoglienza temporanea di altrettanti gruppi di bimbi di "Chernobyl". Dal 2001 attivista in Emergency, sezione di Torino, membro del gruppo che si reca, su richiesta, nelle scuole.

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