Apro Wikipedia e digito: Mario Draghi.
Nel leggere la sua biografia, gli studi e la carriera accademica, rimango senza fiato: Presidente della Banca Centrale Europea, Governatore della Banca d’Italia, Direttore Generale del Tesoro, Presidente del Forum per la stabilità finanziaria, presidente del Consiglio per la stabilità finanziaria, Lauree Honoris Causa come se piovesse e, per finire, Presidente del Consiglio. Manca solo il Dott. Prof. Lup. Mann. di fantozziana memoria.
Hai detto cotica!
Dopo il caos fortemente voluto da Renzi, arriva lui; dopo l’ennesimo Italian Job fatto di sgambetti, dispetti, colpi bassi e insulti che nemmeno col VAR, appare Mario.
E non è un politico.
Come non lo era Giuseppe Conte.
Partiamo leggermente indietro: intanto a volte mi chiedo perché debba votare; certo, altrimenti decidono altri al posto mio, ma dopo il voto tutto viene regolarmente smentito, i partiti confluiscono in alleanze che nemmeno Paolo Fox riuscirebbe a prevedere, assolutamente incredibili, litigiose, assurde, necessarie per governare, mentre il Paese assiste impotente.
Ad un passo dal baratro arriva in soccorso il Governo tecnico, o quasi, quello che deve rimediare alla follia distruttiva di un “bomba” incurante delle conseguenze, incomprensibilmente e testardamente contro il buonsenso.
Ma tant’è, è fatta.
È arrivato Mario. Big Mario.
Il neo presidente durante i colloqui per la formazione del Governo, si è trovato di fronte questi highlander dalle dubbie moralità e dalle chiare incapacità, ma fortissimi nell’utilizzo di Facebook, Twitter e altri social. Chissà se si è mai chiesto “chi me lo ha fatto fare”. Sorridevo nel guardare Draghi a colloquio con ex comici, o personaggi che hanno carichi pendenti o processi in corso ma che ostentano sempre e comunque il sorriso della sfrontatezza; comparse (non politici) che negli anni hanno confermato la propria inutilità, e la capacità di cambiare casacca all’occorrenza, e che decidono (loro) se sia il caso di fidarsi del neo presidente.
Questo si è trovato davanti.
Prima di ciò un Giuseppe Conte sobrio e semplice, all’esterno del Palazzo, davanti ad un banchetto sul quale erano posati una selva di microfoni, salutava, ringraziava, e parlava con lo stile, la discrezione e l’educazione che lo ha sempre contraddistinto, durante questa pandemia devastante.
In un panorama così drammatico ritengo abbia fatto quanto di meglio sia stato possibile: anche errori, comunque metri sopra quei figuranti squallidi, soprattutto meglio del “bomba” che, come dice qualcuno, si è comportato come un volpino la notte dei botti.
Giuseppe Conte rientra all’Università di Firenze con una Lectio Magistralis nell’Aula Magna, da ex premier.
Renzi, pagato profumatamente, forse tornerà in Arabia Saudita per decantare questa culla del neo Rinascimento, nessuna lectio, solo il proprio ego e amore per le banconote.
Adesso tocca a Mario: lui non usa nessun social, non si concede ad interviste, talk show o altro, non appare in tv per il nuovo DPCM ma lo fa arrivare comunque. Meglio o peggio lo diranno i tempi futuri, e l’unica certezza è che per ora sono tutti sul suo carro, o meglio, dietro, e zitti, per poter mettere le mani su quella camionata di soldi.
Fino ad oggi ho sentito solo tante dichiarazioni d’intenti, promesse, insomma parole; e all’alba della terza ondata del virus adesso occorrono i fatti, quei fatti che potrebbero concretizzarsi con il denaro che un ormai quasi ripudiato Conte è riuscito ad ottenere in Europa.
Luciano Simonetti