Pensioni

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Nel nostro Paese è una di quelle riforme praticamente impossibili. Da anni non se ne viene a capo, da troppo tempo è un incubo: aggiustamenti, toppe, strappi e promesse fanno da contorno a qualcosa che un tempo era ordinato e chiaro.
La data della pensione, con tanto di pergamena e orologio. Una lustrata alle bocce e via al parco. Ogni tanto una visita al vespasiano.
Oggi si viaggia a vista, con cambi di regole a gioco in corso che mettono in gravi difficoltà intere famiglie, con penalizzazioni che rasentano la follia, tra opzioni che sanno di presa in giro e alternative kafkiane; non entro nel merito di tecnicismi: mi limito a piccole considerazioni.
Ormai è sotto gli occhi di tutti che il patto tra generazioni (perché questo sono le pensioni) sia andato completamente in frantumi tra giovani che non trovano sbocchi professionali in una Italia dove il lavoro scarseggia o è a termine e anziani sempre più anziani e numerosi, che gravano sempre più su un sistema sanitario già in rovina, che campano più a lungo. Non ho scritto meglio, semplicemente più a lungo.
È un paese di vecchi stanchi e giovani affranti.
Leggo le statistiche ISTAT e rimango alquanto perplesso: occupazione in aumento e disoccupazione in diminuzione: ora, questo dovrebbe essere una boccata d’ossigeno per il comparto pensioni ed invece il tutto rimane ammantato da incertezza, snervante, e ciclicamente saltano fuori soluzioni allucinanti, più simili a ricatti che a soluzioni, perché questo sono.
Tempo fa, in campagna elettorale, qualcuno ha promesso con insistenza “il superamento della Fornero”, ne ha fatto il proprio cavallo di battaglia ed ecco i risultai; vai a fidarti di uno con il suocero carico di procedimenti penali, il cognato indagato; vai a fidarti di uno che delle pensioni non ne parla più da mesi e che l’unico argomento sul quale blatera è il ponte sullo Stretto: un’autostrada tra due mulattiere. Era o no quel signore a dire che gli Italiani dovevano tornare a godersi la vita dopo il lavoro?
Detto questo, torniamo a noi: finiti i tempi dei baby pensionati, una sorta di cancro già in stato avanzato per il nostro Paese nel momento stesso in cui fu partorita questa aberrazione  sciagurata e finiti i tempi delle pensioni a trentacinque anni indipendentemente dall’età del lavoratore. Ora abbiamo davanti a noi un baratro, perché di questo si tratta. Nonostante il Governo dichiari che l’economia stia andando a gonfie vele  e l’occupazione sia in aumento, vedo ugualmente giovani disoccupati che naturalmente non possono contribuire a un sistema in grave difficoltà, che non fanno più figli e anziani costretti (non c’è altro termine) a sgobbare fini all’età dei datteri.
E si sta estinguendo la razza che forte e indomabile è il vero sostegno alle famiglie, il vero welfare: i nonni.
Non intendo quelli di adesso che si conciano come i nipoti e cavalcano una bici assistita da ottomila euro pur abitando in pianura. Intendo i veri nonni di una volta, quelli che portavano i bambini al parco dopo averli presi a scuola, che riuscivano a star dietro ai marmocchi perché erano già in pensione ad un’ età ancora “normale”; quelli che davanti alle scuole con pettorina e paletta fermavano orgogliosi le auto per far passare genitori e figli, quelli che la domenica avevano ancora energie per invitarci a pranzo perché  “domenica nonna fa la pasta col ragù” e forze per ricominciare al lunedì, quelli che con ancora delle buone energie potevano dedicarsi anche al volontariato in qualsiasi forma.
Ora tutto ciò sta scomparendo: i nonni lavorano e nemmeno sanno ancora per quanto, sono presi dai malanni dell’età, hanno preoccupazioni, incertezze.
E quelli di domani vedranno l’età alzarsi oltre limiti ragionevoli e saranno in condizioni ancora peggiori.
Il discorso pensioni è sempre e solamente stato utilizzato come propaganda elettorale, ed i risultati li stiamo vedendo tutti: mentre i vecchi (non vedo altro termine) lavorano, sono i giovani ad andare a guardare i lavori in corso.
E mi chiedo come in una società moderna si possa chiedere alle persone di lavorare in modo efficiente in età avanzata, con la stessa energia e prontezza mentale di un giovane, imparare nuovi metodi e programmi, sostenere ritmi e pressioni sempre crescenti.

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Luciano Simonetti
Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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