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venerdì, Aprile 19, 2024

    Le donne di Satana nelle Alpi

    2° parte

    Dalle fonti è possibile evincere alcuni dati importanti, non esaustivi e completi, che si riportano:
    1. Segnalazione (prevalentemente un’accusa) di persone dedite alla magia e al sortilegio (la più antica, di tutto il materiale schedato riguarda una certa Pasquetta di Villafranca “quia faciebat sortilegia in visione stellarum”) di cui però non si conoscono gli sviluppi delle vicende che li riguardano.
    2. Multe per aver praticato la magia: (la maggior parte nel XIV secolo).
    3. Processi per stregoneria (i documenti di alcuni processi sono incompleti o andati perduti, quindi la segnalazione della loro quantità non trova riscontro con il numero delle condanne comminate).
    4. Condanne: a morte, ma senza indicazione della procedura; al rogo (1320, la prima); amputazioni.
    5. Alcuni casi di untori processati e condannati (1347 – 1525 – 1540 – 1599 – 1630 – 1633) la cui attività è posta in relazione al satanismo.
    6. Preti condannati perché colpevoli di aver praticato la magia.
    7. Alcune condanne a morte per maghi e stregoni che cercavano di attentare alla salute dei regnanti attraverso la magia: vi sono alcune frammentarie indicazioni su sortilegi contro il duca Amedeo di Savoia (1417); la documentazione è più ampia e articolata per i primi anni del XVIII secolo (contro Vittorio Amedeo II).

    Nei documenti piemontesi relativi alla stregoneria incontriamo il riferimento a un singolare termine: inciarmi.
    Sappiamo che Carlo Emanuele II con l’Editto del 2 luglio 1673, comminava la pena di morte a quanti si servivano di inciarmi (termine per definire i cosiddetti “incantesimi e stregherie”) per effettuare malefici di varia natura.
    Inoltre, si imponeva che chiunque fosse stato arrestato per crimini di diverso tipo, dovesse essere accuratamente controllato per stabilire se sul suo corpo vi fosse il signum diabolicum, che avrebbe rappresentato la testimonianza oggettiva del legame dell’accusato con l’universo della magia e del culto del diavolo.
    L’Editto del 1673 fu riportato un secolo dopo da Carlo Emanuele III, che di fatto confermava quanto già definito dal predecessore, dimostrando quanto fossero ancora solide e diffuse le credenze intorno agli inciarmi: “Havendo noi inteso essere giunta tant’oltre la perversità di molti che abbandonato il timore di Dio siano ricorsi al nemico più fiero del genere umano per ottenere col mezzo di incantesimi o stregherie che popolarmente vengono chiamati inciarmi di non essere offesi da arme da fuoco od altre così abominevolmente accostandosi alla parte del Demonio e perciò dichiariamo che chiunque perverrà alle mani della nostra giustizia hauendo sopra la sia persona inciarmi ovvero convinto haverli adoperati in sé o dati ad altri, sia punito con pena di morte sia pure la sua persona di qualsivoglia stato, grado e condizione”.
    Nelle Costituzioni regie, le arti magiche erano raccolte sotto il termine “malefici”, fino al 1770, nel testo era compreso un paragrafo in cui si concedeva di reiterare la tortura sul condannato se si fosse servito “di qualche inciarmo per rendersi insensibile alla tortura”.
    Già dai pochi frammenti di questo documento si evincono alcune indicazioni che illustrano con nitidezza il modo di considerare la magia e quanti si riteneva la praticassero tra il XVII e il XVIII secolo:
    1. coloro che praticavano inciarmi erano considerati alla stregua degli adoratori di Satana;
    2. con il termine inciarmi si intendeva sia gli incantesimi che le stregherie;
    3. sembrerebbe che con inciarmi si volesse soprattutto ottenere una sorta di protezione soprannaturale ed essere insensibili alle armi da fuoco e quindi poter liberamente svolgere attività malavitosa;
    4. il delitto di inciarmi era punito come la stregoneria: quanti venivano riconosciuti colpevoli erano pertanto affidati al braccio secolare per essere condannati secondo le norme del tempo.

    Nella sostanza, il termine inciarmi risulta velato di una certa ambiguità sul piano etimologico, mentre le sue caratteristiche non sembrano essere molto diverse dalle varie pratiche magiche attribuite a streghe e stregoni che, tra il XV e il XVII secolo, furono travolti dalla repressione dell’Inquisizione.
    Un aspetto particolarmente interessante fornito dai documenti relativi ad alcuni processi per stregoneria celebrati nel Piemonte medievale, è costituito dalla voce “costi di detenzione ed esecuzione”, che costituisce un esempio molto vivido della tragicità della caccia alle streghe, la cui immagine traspare nitidamente anche da aspetti apparentemente marginali, come il conto delle spese necessaria all’esecuzione di una condannata per eresia.

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