Nella grande storia della sinfonia – genere presente nelle nostre sale da circa tre secoli – non del tutto secondario fu l’apporto delle quattro sinfonie scritte da Robert Schumann.
Anche se il genio di Zwikau non era per vocazione portato allo sviluppo tematico richiesto dalla sinfonia, e se, come tutti i suoi contemporanei, era frenato dall’esempio schiacciante di Beethoven, a un certo punto non seppe resistere al piacere di cimentarvisi. Conosciamo la triste storia della sua malattia nervosa, poi divenuta mentale, che lo portò a morire in nosocomio a quarantasei anni; ma non di questo vorrei parlare, è un argomento troppo triste. Meglio catapultarci nel 1840, l’anno d’oro della sua vita, proprio quando aveva toccato la piena felicità; era riuscito a sposare la sua adorata Clara, gli era tornata, felice e feconda, la vena creativa, guadagnava abbastanza, pubblicava senza fatica, e le ombre scure, che pure c’erano, se ne stavano rintanate nel fondo della coscienza. Capì che era il momento di interrompere la lunga serie di composizioni pianistiche e liederistiche che lo avevano interessato fino ad allora, per gettarsi a tuffo nella musica d’orchestra.
Dopo qualche tentativo non ancora ben direzionato, entro cui si situa l’op.52 (“Ouverture, Scherzo e Finale” che dieci anni dopo diventerà la Quarta Sinfonia), all’inizio del 1841 in soli quattro giorni scrisse quella che a pieno titolo sarebbe diventata la sua Prima Sinfonia in si bemolle maggiore. Denominata “Primavera” perché ispirata a un ciclo di poesie sull’argomento, il 31 marzo fu eseguita per la prima volta a Lipsia dall’amico Mendelssohn ottenendo gran consenso, uno dei pochi successi pubblici ottenuti da Schumann. I suoi quattro tempi, fortemente unitari, sono tenuti insieme da un materiale ritmico-melodico che nel finale giunge quasi a toccare lo stile ciclico che, imitando i leit-motive di Wagner, sarebbe poi diventato “alla moda”.
Invece la gestazione della Seconda Sinfonia in do maggiore fu più lunga, a causa di problemi di salute, e malgrado il valido impegno di Mendelssohn il successo fu meno eclatante. Si presenta di proporzioni ampie ma poco unitarie, ed è tutta basata sull’opporsi di forti contrasti ritmici. Il do maggiore, simbolo di solidità e sicurezza, sembra cercare una terra ferma su cui posare, e infatti la trova in architetture sonore molto originali come lo Scherzo con due trii, o il Finale.
Quando nel 1850 Schumann decise di lasciare Dresda, per trasferirsi con la famiglia a Düsseldorf presso Colonia dov’era chiamato a dirigere l’orchestra locale, fuggiva dai disordini del Quarantotto, dal lutto per la morte di Mendelsshon, dagli smacchi professionali. Lì, rasserenato, in un clima di rinnovamento fiducioso, iniziò a comporre una nuova sinfonia in mi bemolle maggiore, la Terza, nota fin dall’inizio col soprannome di “Renana”. La prima esecuzione nel febbraio del 1852 suscitò ottime accoglienze, ripetute dovunque venisse eseguita, come a Rotterdam, durante la tournée olandese intrapresa da Robert e Clara. Ancor oggi la Renana è la più nota e più amata delle Quattro. La bellezza fisica dei luoghi, la vicinanza di Bonn, le anse sinuose del fiume, le leggende di elfi e ondine, insomma tutta quella “religione del Reno” tanto cara all’anima tedesca, si presenta a fin dal tema del Vivace iniziale, uno schietto tema di slancio verso l’alto, unico in tutta la produzione schumanniana. L’eco di quest’inizio vaga nello Scherzo, costruito in modo innovativo con tre variazioni, mentre nell’Adagio l’andatura è quella di una romanza tutt’intessuta di motivi trasognati, leggendari. All’imponenza gotica del quarto tempo, che venne ispirato a Schumann da una solenne cerimonia cattolica nel duomo di Colonia, fa riscontro il clima gioioso e solare del Finale.
Più tortuosa fu la genesi della Quarta Sinfonia in re minore, derivata dai brani dell’op.52 ritrascritti in diverse formazioni (persino come fantasia per pianoforte!) e poi approdati sulla sponda sicura di questa sinfonia. A causa della retrodatazione del materiale, la Quarta potrebbe essere cronologicamente considerata come Seconda. Ma a parte ciò, siamo di fronte a un lavoro di forte pregnanza espressiva, tanto da poterlo considerare come l’opera più importante in campo sinfonico di tutto Schumann. Nella transizione lenta tra lo Scherzo e il Finale l’influenza della Quinta di Beethoven è lampante, però il collegamento dei singoli movimenti, che vengono eseguiti senz’alcuna interruzione, mira a trasformare la sinfonia in una specie di poema sinfonico. Risultati eccellenti, ma forse meno poetici di quanto non fosse la descrizione libera e bella del fiume Reno nella “Renana”!
E proprio in quel Reno, nella notte del 26 febbraio 1854, Schumann si buttò per suicidarsi. Salvato dai barcaioli, due anni dopo finì la sua vita infelice nella casa di cura di Endenich.
Le Quattro di Schumann
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