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martedì, Marzo 19, 2024

    Pure Borgaro aveva un castello…anche antico e bello

    Come a Caselle anche a Borgaro pochi sanno che esiste ancora l’antico castello, anche se ormai l’edificio, dopo la conversione in convento è stato molto rimaneggiato tanto da somigliare più ad un anonimo palazzo d’abitazione.

    Ma la sua storia è molto antica, e al suo interno ci sono ancora alcune labili tracce degli antichi fasti.

    Castrum e receptum

    Dall’epoca carolingia in avanti la maggiore estensione delle superfici coltivate e l’incremento demografico nelle città spinsero numerose persone a spostarsi dai centri urbani nelle campagne, spesso incentivate dal potere pubblico che concedevano speciali franchigie ai coloni che si spostavano.

    Il risultato di questi movimenti fu l’avvio di nuovi insediamenti, ma anche la ridislocazione di quelli già esistenti. Spesso la presenza di un castello o di una piccola fortificazione era un elemento catalizzatore per l’insediamento della popolazione nei dintorni, ed in molti casi i signori locali furono abili nello sfruttare questi spostamenti, attirando i coloni presso di sé e pianificando le necessarie strutture abitative per accoglierli, dando così vita a borghi con una pianta molto regolare. Con ogni probabilità è proprio in questo contesto che all’inizio del XII secolo nacque a Borgaro un primo borgo abitato corrispondente al nucleo dell’attuale centro storico.

    L’insediamento era dotato di una pianta molto regolare e si collocava a ridosso di un piccolo castello circondato da un fossato. Come detto la rilocalizzazione dei nuclei abitati in prossimità del castello è elemento comune nel Piemonte del tempo e questo fornisce anche una spiegazione plausibile del motivo per cui il centro storico di Borgaro sia sorto lontano dall’antica chiesa parrocchiale, che era stata edificata secoli prima lungo l’antica strada romana, dove probabilmente si trovava qualche insediamento fin dall’epoca di Augusta Taurinorum.

    Questo agglomerato centrale presso il castello non fu in contraddizione con la creazione dei priorati benedettini e con la presenza dei piccoli edifici rurali sparsi in queste grandi distese di terre coltivate, infatti questa conformazione delle campagne richiedeva la contestuale creazione di spazi più raccolti e protetti per stoccare le derrate ed eventualmente fornire riparo alle persone. Nacque così anche a Borgaro un receptum, una vera e propria fortezza dove le popolazioni contadine depositavano al sicuro i loro prodotti e si rifugiavano in caso di pericolo.

    I documenti esaminati testimoniano con assoluta certezza l’esistenza del receptum di Borgaro a nord del piccolo castello, in seguito divenuto residenza dei conti Birago, ed è menzionato in vari consegnamenti successivi al XII secolo, come quello del nobile Burgarino del 1417 in cui si cita il receptum Castri Burgari, e anche in quello della contessa Stroppiana del 1577, in cui più volte si trova menzionata il ricetto, una muraglia e delle case ancora coperte di paglia.

    Accanto al ricetto, l’altra grande struttura del centro storico era il castello, finora menzionato solo di passaggio. Un memoriale degli anni Quaranta dell’Ottocento ne attesterebbe la presenza già nell’VIII secolo; mancano per ora documenti che lo comprovano, ma sicuramente era già esistente nel basso Medioevo.

    Al castello vi si accedeva dal fondo dell’attuale via Costituente, attraverso un ponte che permetteva di superare un fossato per entrare da un ingresso posto poco più a sud dell’attuale ingresso del convento delle Suore della Carità.

    Della struttura medievale è rimasto ben poco perché, quando nel Settecento divenne residenza della famiglia Birago, vennero demolite tutte le mura ancora esistenti insieme all’ingresso sud che permetteva di immettersi sulla antica strada per Torino, ed il fossato venne riempito per far posto al nuovo giardino.

    Forse solo la piccola costruzione cilindrica addossata ancora oggi a sud del fabbricato principale e nel settecento adibita a cappella, potrebbe ancora attestare i resti di un’antica torre della fortezza.

    Analoga sorte subirono altre architetture del centro storico medievale: la porta principale del paese, posta a nord dell’attuale via Costituente, era ancora in parte visibile nel 1857, quando gli ultimi suoi resti furono abbattuti per il rifacimento del ponte sulla Bealera del mulino e l’allargamento della strada. Solo negli anni Settanta del secolo scorso venne demolita una torre dell’antica cinta muraria, esplicitamente citata a fine Ottocento da Carlo Ratti nella sua guida turistica “Da Torino a Lanzo e per le valli della Stura”.

    Purtroppo la politica urbanistica cittadina non ha in alcun modo tenuto conto delle antiche preesistenze e buona parte dei vecchi edifici sono stati completamente abbattuti per far posto a nuove costruzioni: qualche posticcio rifacimento in stile medievale non ripaga della perdita e il rimpianto della perdita non viene attenuato dalle misere tracce di antiche murature ancora rimaste nel vecchio centro.

    Il castello dei Birago

    Raffigurazione cartografica del castello e del ricetto (prima metà Settecento)

    L’antico castello medievale di Borgaro, diviso fra i vari feudatari, mantenne pressochè intatto il suo impianto fino all’inizio del Settecento, come risulta da alcune planimetrie che tracciano ancora il fossato che lo circondava.

    Le cose cambiarono radicalmente dal 1733, con l’assegnazione del titolo comitale ai Birago, quando il castello assunse maggiore importanza come residenza signorile e gradatamente venne trasformato in villa secondo il gusto dell’epoca.

    La torre delle antiche mura demolita negli anni Settanta del secolo scorso.

    L’antica cappella della Madonna degli Angeli, di cui si ignora la posizione esatta all’interno della struttura, venne demolita all’inizio del secolo, forse nel 1732, anno in cui si eseguirono dei miglioramenti, e venne sostituita da una nuova cappella dedicata alla Deposizione, a pianta rotonda dotata di una piccola volta, che venne realizzata a ridosso del castello, probabilmente utilizzando i resti di una antica torre, la cui forma ancora oggi è ben visibile sul lato sud del complesso.

    Tuttavia, le poche notizie disponibili inducono a credere che il complesso venne radicalmente modificato solo nella seconda metà del secolo, probabilmente intorno al 1750 visto che l’intendente Sicco nella sua relazione del 1752 lo descrive “di recente rimodernato in civil architettura”.

    Il castello visto dal parco Don Giovanni Banche.

    Una volta riempito di terra il fossato che lo circondava, il palazzo subì una vera e propria ristrutturazione su volere del conte Ignazio Birago (1721-1783), che era anche l’architetto di corte dei Savoia, a cui molti gli attribuiscono la progettazione del nuovo impianto, anche se ma non vi sono per ora documenti che ne forniscano la prova definitiva. Tra i favorevoli a questa ipotesi vi è lo storico Cavallari Murat, anche se tuttavia sostiene che Ignazio morì prima del completamento dei lavori, che passarono nel 1787 all’architetto Giueppe Viana a cui forse si attribuiva la realizzazione di una facciata adorna di colonne.

    I probabili resti di un’antica torre circolare con addossato il terrazzo realizzato nel primo novecento.

    Quale che ne sia la paternità, il progetto non solo modificò la struttura principale, ma interessò anche il cortile, dove venne realizzato un giardino all’italiana, con delle siepi che contornavano una peschiera disegnata con geometrie regolari, in piena rispondenza al gusto settecentesco. La sua esistenza è testimoniata dalla mappa del Catasto francese del 1802. Nell’Ottocento il giardino seguì i mutamenti del gusto, e lo stesso venne trasformato in parco all’inglese, che prevedeva la ricostruzione di un ambiente meno geometrico e più simile a quello naturale, con la trasformazione della peschiera in un laghetto.

    L’ingresso settecentesco del castello.

    Nel 1860, il conte Luigi Renato Alfonso Gustavo Birago (1811-1870) vendette il castello, insieme a tutte le altre proprietà, all’avvocato Pietro Ferdinando Giani, il quale mantenne la proprietà per poco più di trent’anni, rivendendola nel 1895 a cinque suore della Congregazione delle Suore di Carità di Santa Giovanna Antida.

    Il castello divenne così un convento, e la nuova destinazione d’uso impose diversi interventi dettati dalle necessità delle suore, che sminuirono l’imponenza della villa cancellando del tutto le sue caratteristiche più evidenti. La facciata adorna di colonne rivolta a ovest venne eliminata nel 1904 per far posto alla nuova e grande cappella della Maria Vergine Consolata e San Giuseppe, progettata dall’ingegner Alberto Bellia.

    Anche la manica rustica del castello venne più volte modificata, ampliata e sopraelevata per poter ospitare l’asilo infantile istituito nel 1901. Infine il laghetto del giardino venne riempito e i fasti della residenza nobiliare divennero un mero ricordo.

    Particolare di uno dei pochi stucchi rimasti nel castello.

    Oggi solo più una sala del primo piano, utilizzata come cappella secondaria, rimane ancora adorna di stucchi tra cui troneggia l’antico stemma della famiglia Birago a ricordo dei fasti passati.

    L’architetto di corte Ignazio Birago

    Nei secoli il feudo di Borgaro è stato in appannaggio a numerose famiglie, anche più di una contemporaneamente, ma dal XVIII secolo divenne dominio incontrastato dei Conti di Vische, nobile e potente ramo legato ai Savoia della casata dei Birago (o Biraghi), antica famiglia milanese, nota fin dal 942, che prese il nome dalla località milanese di Birago (o come sostengono alcuni fu la famiglia che diede il nome al paese), il cui capostipite fu Corrado, vissuto nel XII secolo.

    Il busto di Ignazio Birago in cima alla lapide commemorativa nella chiesa vecchia di Borgaro.

    Su questa famiglia, ed il suo ramo di Vische, ci sarebbe molto da dire, ma ci limitiamo a illustrare la vita di Ignazio, che più interessò la storia settecentesca di Borgaro il cui busto troneggia ancora oggi nella cappella di famiglia nella vecchia chiesa parrocchiale.

    Ignazio Mario Camillo Renato Birago, secondogenito di Enrico del ramo Birago di Vische, nacque a Torino il 13 settembre 172114.

    Ricevette il feudo di Borgaro il 14 maggio 1733 dal conte Augusto Renato Birago della linea di Borgaro che, essendo privo di figli, lo aveva adottato e nominato erede universale nel suo testamento del 16 aprile 1746. L’anno dopo, il giovane conte sposò Bona Gabriella Caterina di Aurelio Michele Verasis Asinari di Castiglione, da cui ebbe ben undici figli. I due rimasero uniti fino alla morte del conte, avvenuta il 2 gennaio 1783 per le gravi ferite riportate in seguito alla caduta di un trave all’arsenale di Torino, in cui il conte stava dirigendo dei lavori.

    Lo stemma della famiglia Birago che adorna l’unica sala del castello che conserva gli stucchi settecenteschi.

    Nel corso dei suoi cinquant’anni di vita, Ignazio ebbe una carriera brillantissima, anzitutto in campo militare, come ufficiale «distintissimo» d’artiglieria: fu maggiore nel 1755, tenente colonnello nel 1763, colonnello nel 1771, brigadiere nel 1774, comandante del corpo reale di artiglieria nel 1775, maggior generale nel 1776, capo dell’artiglieria nel 1781. A questi gradi, aggiunse anche quelli di secondo scudiero della regina nel 1750, primo scudiero nel 1768 e cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro nel 1775.

    Ma accanto alla carriera militare, fin da giovane il Birago coltivò interessi artistici, e nel 1747 era già “Direttore di Scenario” del Teatro Regio, una delle cariche previste della Società dei Nobili Cavalieri, che aveva il compito di organizzare gli spettacoli di rappresentanza della corte.

    Alla fine del 1751 risale il suo primo incarico di architetto in cui gli fu affidata la progettazione di un nuovo teatro da costruirsi in piazza Castello in sostituzione del vecchio teatro Carignano ormai pericolante. Il progetto non venne mai realizzato e così la prima vera opera attribuibile a Birago è probabilmente la chiesa della Confraternita del Corpus Domini e di Santa Marta a Vische, che venne eretta tra il 1751 ed il 1756, per volontà del padre naturale di Ignazio.

    Da allora la sua carriera di architetto diventò predominante, e nel 1767 iniziò ad occuparsi della Palazzina di caccia di Stupinigi, per la quale disegnò l’altare della cappella di Sant’Uberto, il complesso del canile e altri lavori minori. Nel 1770 fu nominato architetto di corte, successore diretto di Filippo Juvarra e Benedetto Alfieri, il cui incarico comportava importanti funzioni di direzione nella progettazione di tutte le costruzioni del regno.

    Il castello nel catasto francese del 1802 in cui si evidenzia il giardino all’italiana.

    Fu così che intervenne direttamente nella ristrutturazione del castello di Agliè che, costruito originariamente nel 1141, distrutto e riedificato più volte, nel 1764 passò ai Savoia. Questi lo diedero in appannaggio al duca Benedetto Maria Maurizio del Chiablese (1741-808), che lo trasformò in sua residenza proprio su progetto del conte Birago. Il lavoro dell’architetto riguardò anche l’antico borgo dove vennero demolite alcune antiche case a ridosso del castello per realizzare una piazza antistante rivolta verso il paese con una nuova chiesa parrocchiale dedicata a Sant’Anna, il tutto nel nome di un’organica e unitaria concezione urbanistica che mirava a mettere in risalto il castello.

    Altre opere lasciate dal conte sono disseminate a Torino (la principale è il Palazzo Costa di Trinità in via San Francesco da Paola) e forse, come si è già avuto modo di dire, a Borgaro. Il suo stile seppe cogliere l’esempio dell’architettura juvarriana e affinarlo secondo una sensibilità personale, e le sue opere sono un manifesto dell’austerità del barocco piemontese di fine Settecento, in cui le decorazioni eleganti non sono mai invadenti, ma sempre armoniche con la struttura in cui sono inserite.

    Il suo obiettivo fu sempre quello di sottolineare le architetture con l’ornamentazione e mai il contrario, collocandosi in una zona lontana dagli eccessi del rococò e prossima all’avvento del neoclassicismo, e come scrisse Cavallari Murat: «Benché favorito dalla condizione sociale di partenza, non fece parlare molto di sé le cronache dell’arte, tuttavia si dimostrò all’altezza dei maggiori architetti ovunque se ne richiedesse l’intervento disinteressato».

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