In questa puntata concludiamo le vicende del mancato assedio di Caselle nel 1552 da parte degli Spagnoli, così come raccontate direttamente da Blaise de Lasseran e signore di Montluc che si prese carico della difesa del nostro paese, nonostante il comando francese consigliasse di non esporsi e lasciare che il nemico occupasse il nostro paese.
Come già detto, i Commentari vennero scritti da Montluc con il dichiarato scopo di istruire gli ufficiali di rango sulle tecniche dell’arte militare sulla base delle proprie esperienze, addentrandosi anche in minute descrizioni.
Questo permise che anche un episodio del tutto marginale, come la difesa di Caselle a cui non seguì alcun assedio, venisse descritto da Montluc con minuzia di particolari sulle fortificazioni e delle sue opere difensive proprio per dare un esempio ai futuri comandanti di come fortificare velocemente una fortificazione di un paese dalle deboli difese.
Vediamo ora la conclusione di quanto scritto in merito a Caselle, sempre trascrivendo una versione dei Commentari tradotta in italiano nel Seicento:
Il signor di Montluc infaticabile
“La maggior parte della notte io andavo per tutta la terra, ora dove si faceva la calcina, ora do vi si lavoravano i gabbioni, quando rientrava nella terra, e quando faceva la giravolta per di fuori.
Usciva poi altra volta a riveder tutti i luoghi, e non mi fermavo mai, se non all’ora del desinare, non altrimenti che il minimo soldato che vi fosse, animando intanto tutta la gente al travaglio, e accarezzando piccoli, e grandi imparai quivi quel che sia fare una impresa, quando tutti generalmente si risolvono di venirne a capo, e che importi una massa di gente desiderosa di riuscire ad onore in quello, che a far prende.”
Istruzione per i Capitani
“E quantunque un Capitano si possa acquistare molta lode con lo scompartire in guisa le cose, e i tempi, che ne anche un ottavo d’ora si passi inutilmente; nulla di meno mai non condurrà egli a fine cosa importante, se tutti universalmente non son d’accordo, e non premono in adempire onoratamente l’opera incominciata.
Capitani questa è cosa, che principalmente ha da dipendere da voi, perché si vi sapete acquistare il soldato, farete più con una parola, che col bastone. Egli è vero, che se darete in qualche tumultuario, e scandaloso, bisogna a spesa sua tenere a gli altri il cervello in capo.
Io tornerò a dire del Sig. di Giè, il quale non si partì mai dalla sua porta, sino a che e di dentro e di fuori ella non fu del tutta terrapienata; ed era accompagnato da’ suoi huomini d’arme, che non si rispiarmarono la fatica più che gl’infimi soldati.
Oh Capitani, che bello esempio qui vi si porge, se voi lo volete notare, per difendere, quando l’occasion vi se ne presenti, una piazza.”
Providenza del signor di Montluc, e come unanimità di soldati è atta a superare ogn’impresa
“E se voi volete imparar da Caselle, non solamente potrete pigliare a difendere una piazza per debole, che ella sia, ma un prato cinto di fosso, purché sia l’unione che qui io aveva. Eravamo tutti d’un volare, d’un desiderio, d’un animo stesso. La fatica c’era diletto.
Fu la mia fortuna così felice, che il Sig D. Ferrando diede a Cesare da Napoli la metà dell’esercito; cioè quasi tutta la fanteria, e parte della cavalleria, per condurla a Rivarolo, sette miglia corte, presso a Caselle, Vulpiano nel mezzo. Stette il detto Cap. Cesare ventidue giorni a pigliare il castello S.Martino. In questo mentre son i Caselle in difesa, con estrema sollecitudine, avendo fatto fare gran trincee e ripari dietro a tutte le cantonate, e antiporti terrapienati, e tutti i gabbioni gabbioniati e doppo risoluti pure d’aspettar la batteria, e acquisiarci onore.”
Consiglio delli Spagnoli sull’assaltar Caselle
“Dopo che Cesare ebbe preso S. Martino, e cert’altri castelli, giunse a Rivarolo con le sue genti, dove subitamente il Sig. D. Ferrando mise in consiglio se egli ci doveva venire ad assaltare, o no; stantechè io aveva avuto tempo da fortificarmi; e poteva aver già finito ciò ch’io avessi voluto fare a nostra difesa. Metteva anche in considerazione, che noi eravamo sei compagnie là entro, tutti disposti a combattere; onde egli dubitava di perdere all’assalto Capitani italiani e spagnuoli di maggior valore, che non importava Caselle. I Capitani spagnuoli, e italiani che furon chiamati in questo consiglio, vedendo che il rischio s’aveva a posare sopra di loro, fecero dimostrare dal lor Maestro di campo, che l’Imperadore aveva quivi de’ miglior Capitani, ch’egli avesse in tutt’Italia, e de’ quali faceva conto altrettanto, o più, che di tutti gli altri, e che però pregasse il Sig. D. Ferrando a riservarli per alcuna battaglia, o impresa di maggior momento, che non era Caselle. Sopra di questo fu gran disputa, e tre giorni ne tennero consiglio. Cesare da Napoli, e il Governator di Volpiano persistevano, che il dovere era di venire ad assaltarci. Ma i soldati spagnuoli inteso questo, dissero a lor Capitani, che andassero pur essi con gli Italiani all’assalto, perché quanto a loro non vi si ritroverebbero altrimenti, volendo mantener quello, che il lor Maestro di campo aveva proposto. Tutte queste dispute le riseppe poi il Sig Marescial di Brisac, dopo che D. Ferrando si fu levato da Rivarolo per lettere, che egli scriveva al Presidente di Milano, le quali dalle genti del Sig. Lodovico Birago furono intercette.”
Presa improvvisa d’Alba
“E mentre che egli stavano disputando in aria, il Sig. Maresciallo fece lor torre Alba, per mezzo de’ Signori Motta, Gondrino, Bernardini, e Panao Luogotenente della compagnia del Sig. Maresciallo, e d’alcuni altri, de’ quali non mi sovviene. Fu avvisato il Sig Maresciallo di tal presa sul far del dì, perché le nostre genti erano entrate vicino alla mezza notte.
Egli mi spedì un suo lacchè, con una lettera, che diceva: Mons. Monluc, ora appunto sono stato avvisato che la nostra impresa d’Alba ha avuto effetto, e che vi son dentro i nostri, onde io monto a cavallo, e mene vo colà in fretta. Il lacchè arrivò, che potevano esser tre ore di dì.”
Coraggioso motto del signor di Montluc
“E perché il Governatore di Vulpiano riteneva un trombetta di Mons. Malgirone, io gli inviai un tamburino del Capitano Gritti; imponendogli che gli dicesse che non poteva meglio D. Ferrando vendicarsi della perdita d’Alba, che col venire ad affrontarci. Come il tamburino fu alla porta di Volpiano, trovò che il Governatore era andato allo spuntar del giorno, al consiglio a Rivarolo. Egli ai soldati della porta, disse la presa d’Alba; i quali per questa nuova lo volevano ammazzare, e cominciavano di già a legarlo, quando appunto arrivò il Governatore, al quale io mandavo a dire che mi rendesse il trombettale, e che poiché noi c’eravamo sempre fatti buona guerra l’un l’altro, non volesse all’ora cominciarla cattiva, massimamente essendo le nostre genti portate umanamente con loro alla presa d’Alba. Il detto Governatore si fece condurre esso tamburino all’alloggiamento, e gli disse, che se quel che diceva era falsità lo farebbe impiccare.
Il tamburino rispose che s’egli era vero, non voleva se non che gli donasse un testone, e al contrario se diceva bugia, si contentava essere impiccato. Rimontò il Governatore a cavallo, e tornò a Rivarolo dove tutta notte stettero consultando, se ciò potesse esser o no, e il giorno seguente sul mezzo dì, arrivò il Cap. Montecalvo, il quale da parte del Governator d’Asti, gli avvisò della presa d’Alba. Per la qualcosa la mattina seguente il Sig. D. Ferrando partì, e se n’ando a passare il fiume al Ponte a Stura con una prestezza grandissima, per andare alla volta d’Alba, e vedere se la poteva ricuperare prima, che il Sig. Maresciallo l’avesse maggiormente fortificata.”
Il sig.di Montluc manda gente ad Alba
“Quando io vidi non occorrer ch’io più temessi d’assedio, mandai subito ad Alba i guastatori, ch’io avea, il che molto aggradì al Sig. Maresciallo. Non istava io sempre ad aspettar che mi fosse comandato; molte volte è necessario di fare avanti che il comandamento arrivi, se non si corre pericolo.
Il Sig.Bonivetto, e il Colonnello Sampier Corfo vi si misero dentro con sette insegne. Ora arrivato che fu D. Ferrando al ponte a Stura, e passato il fiume, Mons. Salvazzone, che era Governatore di Berrua, me lo fece sapere spacciatamente.
Però feci subito partire il Baron di Cipi, il Garda, el Massa, e furono la mattina seguente su lo spuntar del giorno ad Alba. Del che prese il Sig. Marescial gran contento, e cosi il Sig. Bontuetto, poichè d’un luogo venivano, dove avevano molto affaticato a fortificare, sperando che questi insegnerebbono il modo agli altri, si come fecero. Mons. Malgirone volle rimanere a Caselle, perché vi era buono stare per li cavalli.
Lasciai il Capitan Martin seco, e rimandai il Gritti alla sua guarnigione.
Il Colonnel Ciaramondo, e io andammo a trovare il Sig. Maresciallo a Turino, che era appunto tornato d’Alba, e la mia compagnia se ne andò a Moncaliero. Lasciovi immaginare, se il Sig. Maresciallo, il Presidente Birago, e tutti quei Sig. mi fecer gran festa, esso fui caramente raccolto.”
Istruzione per quelli che tolgono a difender piazze
“Adunque, Capitani, quando di una impresa qualche gran comodo e profitto potrà derivare, come avveniva di questa, poiché Turino, se Caselle si perdeva, n’avrebbe patito gran danno, non restate di pigliarne l’assunto e far una ardita prova. E quando in somigliante grado vi troverete ricordatevi del modo ch’io tenni, perché in tal guisa togliete al nemico l’ardire di cimentarvi.
Più teme egli d’assalirvi, che voi di difendervi, egli pensa, e considera ciò che esser può dentro, e che egli ha a fare con genti, che fanno trambustar terra, che non è poco a un guerriero.
È vero che Cesare da Napoli prese un granchio a baloccarsi intorno a forti sii lungamente lasciandoci intanto fortificare. Se fosse venuto diritto alla volta nostra, ci avrebbe dato assi che pensare. Credo che egli avesse paura. E come ho detto, fu buona fortuna la mia, che D. Ferrando dividesse in quel modo le forze sue, che se egli fosse venuto all’ora a darci assalto, ci avrebbe ammazzato molti valenti huomini, ma gli sarebbon costati cari.”
Disputa che il sig. D. Ferrando muove dal dover assaltare Alba
“Essendo il sig D. Ferrando in Asti, e che di nuovo vi erano entrate tre compagnie di quelle che già io avea a Caselle, con gran moltitudine di guastatori. Però entro egli in non dissimigliante disputa se la doveva assaltarci o no, di quella che a Rivarolo aveva avuta per conto di Caselle. Partì adunque in capo a cinque o sei giorni da Asti con tutta la sua cavalleria per riconoscere Alba. E dopo essere stato un giorno per quei contorni, s’andò ad accampar davanti a S. Damiano, perciocché aveva inteso che il Signor Maresciallo n’aveva tratto quasi tutte le munizioni, come polvere, piombo, e corda per mettere in Alba; ed avea dato carico a non so chi ricondurne quivi altrettante.”
La lentezza è dannosissima a un guerriero
“Ma ben spesso la tardanza, e trascuraggine delle persone fa più perdere che guadagnare. Poiché io non vidi mai huomo lungo nè suoi negozi, tardo, e trascurato alla guerra, che feci nulla di buono; e non è cosa al mondo dove la diligenza più si ricerchi. Un giorno, un’ora, un momento fa suonare di belle imprese. Pensava il Sig. Maresciallo, che D. Ferrando si venisse a porre a Carmagnola, più tosto che altrove, per pigliarla e fortificarla, non temendo di S. Damiano, il quale stimava già rifornito di munizione.”
I personaggi
Si conclude così il capitolo dedicato a Caselle con Montluc, che lascia il paese per altri scenari di guerra.
Sicuramente il grande fervore di Montluc nell’allestire le difese fece dissuadere gli Spagnoli dall’attaccare Caselle per rivolgersi ad altri obbiettivi sicuramente più strategici.
Avevo già parlato di Montluc, ma ora vediamo molto brevemente chi erano gli altri protagonisti principali citati nei Commentari.
Conte di Brissac (esercito francese)
Carlo de Cossé, conte di Brissac, era di una famiglia originaria dell’Angiò e nacque intorno al 1505; fu maresciallo di Francia e noto uomo di guerra.
Combatté nelle Fiandre contro Carlo V, ma la sua fama è dovuta principalmente alle guerre di Piemonte contro gli Spagnoli. Nominato governatore e luogotenente generale del Piemonte occupato dai Francesi (9 luglio 1550), il Brissac ottenne fino al 1556 una serie di brillanti successi, conquistando, fra l’altro, Chieri, San Damiano, Valperga, Serravalle, Ivrea, Santhià e Casale. Gli riuscì anche un felice colpo di mano su Vercelli, nel 1553 e, nel complesso, sostenne vittoriosamente l’urto con l’esercito spagnolo. Importanti furono anche le sue qualità di amministratore, accattivandosi le simpatie di parte della popolazione. Con la pace di Cateau-Cambrésis il Piemonte passa a Emanuele Filiberto nonostante le sue proteste.
Tornato in Francia, e nominato governatore della Piccardia, prese parte alle lotte di religione a fianco del triumvirato cattolico, e chiuse la sua vita militare togliendo le Havre agli Inglesi (luglio 1563). Morì poco dopo a Parigi il 31 dicembre 1563.
Presidente Ludovico Birago (esercito francese)
Nato a Milano nel 1509 è stato un condottiero italiano.
Figlio di Cesare Birago e di Laura Francesca Della Torre, divenne nel 1539, per volere di Francesco I di Francia, governatore di Chivasso e Verolengo e nel 1544 partecipò alla Battaglia di Ceresole.
Nel 1548 Enrico II di Francia, lo nominò “luogotenente del signor Pietro Strozzi delle fanterie italiane in Piemonte”. Nel 1556 conquistò Gattinara che era stata ripresa dagli Spagnoli, e dal 1559 al 1572 tenne il governo del Marchesato di Saluzzo.
Qui cercò di mediare le questioni che opponevano i protestanti piemontesi alla politica voluta dal papato patteggiando con i riformati e mostrandosi tollerante. Il suo atteggiamento però indusse il Papa Pio V a inviare il Signor di Villaparis a Saluzzo per indurlo a una politica più dura verso i riformati.
Nel 1569 assunse il governo di Carmagnola, dove trovò la morte il 28 dicembre 1572.
Don Ferrando (esercito spagnolo)
Ferrante I Gonzaga, detto anche Don Ferrando, conte di Guastalla e principe di Molfetta, nacque a Mantova il 28 gennaio 1507 ed è stato un nobile condottiero italiano.
Fu uomo di fiducia dell’imperatore CarloV d’Asburgo che lo nominò Viceré di Sicilia dal 1535 al 1546 e Governatore di Milano dal 1546 al 1554.
Molto apprezzato dall’imperatore, nel 1526 era uno dei capitani imperiali impegnato nella guerra contro la Francia e nel 1527 fu, ventenne, tra i comandanti protagonisti del sacco di Roma.
Sposò la principessa di Molfetta a Napoli quello stesso 1529 diventando così per matrimonio uno dei maggiori feudatari del Regno di Napoli. Nel 1530 comandava l’assedio di Firenze; la caduta della Repubblica fiorentina e il ritorno dei Medici a Firenze gli fece guadagnare la riconoscenza del mediceo Papa Clemente VII, che lo nominò governatore di Benevento.
Nel 1532 era in Austria, per contrastare le minacce turche su Vienna.
Durante il governo di Milano Ferrante fu promotore di vaste riorganizzazioni edilizie della città e in particolare ordinò l’erezione dei bastioni che circondarono Milano fino alla fine dell’Ottocento.
Morì il 15 novembre 1557 all’età di cinquantuno anni a Bruxelles in seguito a una «strana, varia malatia» che colpì il Gonzaga dopo la Battaglia di San Quintino.
Cesare da Napoli (esercito spagnolo)
Cesare Maggi (o de Mayo, più noto come Cesare da Napoli) nacque a Napoli intorno alla fine del XV secolo.
Le prime notizie certe su Cesare risalgono agli anni 1514-15, quando lasciò Roma per intraprendere il mestiere delle armi, muovendo i primi passi sotto il comando di Renzo da Ceri al servizio dei Veneziani, che difendeva Crema e Bergamo dalle truppe imperiali e sforzesche.
In seguito passò al servizio degli imperiali in cui rimase per più di quarant’anni, salvo poche brevissime interruzioni, sviluppando le sue doti di soldato e le sue capacità strategiche, mostrando di saper rispondere adeguatamente alle nuove modalità di combattimento delle milizie spagnole.
Fin dal 1525 il Maggi fu impiegato in significativi episodi di scontri con l’esercito francese in alcune aree del territorio piemontese (Novara, Domodossola) e soprattutto lombardo.
Nel 1536 ebbe inizio la terza guerra franco-spagnola sul territorio italiano con l’occupazione della Savoia e del Piemonte, e fu proprio qui che Cesare servì gli interessi imperiali in particolare a Volpiano e Moncrivello.
Il 16 luglio 1544 fu investito dal duca di Savoia del titolo marchionale di Moncrivello e servì negli anni seguenti il duca di Savoia Emanuele Filiberto, che lo inviò in missione, nell’estate del 1562, a Ginevra per verificare i mezzi difensivi della città, in previsione del mai realizzato piano di conquista piemontese.
Cesare da Napoli morì il 15 marzo 1568.