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venerdì, Maggio 17, 2024

    CPH4, una ansiosa, fragile speranza

    Cominciamo con una serie di gesti apotropaici, toccandoci come da italica abitudine.
    Lo sappiamo: occorrerà tempo, molto, per ritrovare quella dimensione fatta di abitudini che pensavamo consolidate, indiscutibili e intoccabili.
    Detto questo, iniziamo il 2021.
    Alcuni giorni fa mi sono riletto stralci di articoli riguardanti il nostro quoziente d’intelligenza che, a quanto ci dicono fior di scienziati, sta inesorabilmente calando col passare degli anni,  un processo irreversibile oltre che preoccupante.
    Perché?
    Negli stessi giorni, è stato riproposto il film del 2014 “Lucy”, del visionario Luc Besson; lo ricordate? A causa di vicissitudini violente, come vuole la mano del regista, Lucy, grazie al CPH4 sintetico, raggiunge il 100 % dell’attività cerebrale, trasformandosi poi in un mega computer assoluto.
    Insomma, l’opposto di quella preoccupante china che il nostro cervello ha invece preso.
    Anche supponendo l’esistenza di CPH4 da iniettare giusto per ravvivare un po’ l’intelletto umano, c’è da pensare che salterebbero fuori i NO CPH4, quindi archiviamo l’idea.
    Dunque? Probabilmente i progressi della tecnologia ci consentono di non dover ricordare, decidere, o pensare a come fare una certa cosa, perché tutto ormai, come dice Baricco, è ridotto ad un gioco: complicatissimo come idea e progettazione ma dall’uso addirittura banale.
    Pensiamo ai navigatori: prima di loro le Pagine Gialle avevano l’inserto “Tutto Città”, buttato in una tasca della portiera in macchina, ciancicato a forza di consultazioni.
    Oggi, per andare da Via Vittorio Asinari di Bernezzo, a Via Clemente Damiano Priocca, basta semplicemente dirlo al nostro device, ed il gioco è fatto.
    Quella è una comodità, come la calcolatrice o la lavatrice, certo non contribuisce al rincoglionimento delle masse, semmai tranquillizza i nostri neuroni.
    A quello ci pensiamo da soli. Abbiamo dei potenti mezzi: Amici, Uomini e donne, C’è posta per te, Non è la D’Urso, Grande Fratello Vip, Temptation Island e L’isola dei Famosi…
    Basta. Mi fermo prima dell’overdose.
    Ne mancano ancora, ma tutti hanno un successo travolgente presso le masse, dalle 21,30 fin oltre l’una di notte.
    Prima che qualcuno si inalberi: mai come in questo momento abbiamo avuto necessità di alleggerire, ed ovviamente non possiamo, non dobbiamo mandare in onda solo quartetti per archi e numeri di decessi, però  qui si esagera.
    C’è differenza sostanziale tra un programma leggero, ed uno stupido; chissà come mai, il secondo ha più presa, il telecomando quasi si blocca.
    Certo la televisione ha le sue colpe, ma non possiamo demonizzarla, perché alla fine siamo noi a non cercare la cultura, il bello.
    Anzi, la cultura (in tutte le sue forme) appare qualcosa da evitare, come novelli Talebani. Quanti esempi abbiamo, pur non avendo abbattuto le statue di Buddha: abbiamo devastato il Museo Dell’Informatica, ed abbiamo saccheggiato alcune scuole, gli uffici della Circoscrizione 4 a Torino, poi saliamo (o scendiamo, punti di vista): le abituali risse in piazza tra minorenni che, causa le restrizioni, debbono pur sfogare le energia represse, e che dire dell’esempio dato dalla direttrice di quella scuola e dai genitori che hanno rovinato e umiliato una insegnante divulgando foto personali, e questi gradini poi ci portano ad un altro pianerottolo, dove regna la violenza sulle donne, piaga sempre al vertice della popolarità, e adesso anche sui figli, soppressi come vitelli da sacrificare per colpire più a fondo!
    La società dei diritti senza i doveri.
    Il CPH4 andrebbe irrorato come una sorta di antiparassitario, ovunque, se funzionasse.
    Perché solo un quoziente di molto sotto la media avrebbe suggerito alla giunta veronese di togliere la cittadinanza a Saviano, reo di aver offeso Salvini, perché solo se il Q.I. è quasi inesistente si spiega come mai cinque esseri entrano di notte in uno stadio nonostante i divieti per beccarsi 400 euro di multa!
    Nonostante ciò, occorre credere che seppur orfani di un nuovo Umanesimo, si debba sperare nel futuro, e anche se il nostro quoziente calerà, auguriamoci che il rispetto, la partecipazione, l’aiuto reciproco, non seguano la stessa sorte.
    Direi, una ansiosa, fragile speranza.

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    Luciano Simonetti
    Luciano Simonetti
    Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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