Parliamo di smartphone, di social network e notifiche.
Parliamo di stimoli che condizionano i nostri comportamenti, un po’ come il suono del campanello innescava la salivazione nei famosi cani di Ivan Pavlov.
Da un paio di anni a questa parte, si sta diffondendo in buona parte del mondo l’esigenza di praticare periodicamente il cosiddetto “Dopamine Detox”. Lo scopo reale non è di disintossicarsi dalla dopamina (che non è tossica, così come non lo sono gli altri neurotrasmettitori del nostro organismo), ma semmai prendere coscienza di tutti quei comportamenti che mettiamo in atto più o meno volontariamente, per generare una gratificazione istantanea e ottenere, appunto, una dose immediata di dopamina.
Molti lettori probabilmente sorrideranno leggendo queste righe, pensando che il fenomeno della dipendenza da dispositivi connessi sia marginale o irrilevante, mentre nella realtà il fenomeno è in crescita e colpisce determinate fasce d’età in maniera più preoccupante di altre.
Su TikTok, la nuova tendenza è postare video che documentano le fasi del proprio detox digitale. Gli aggiornamenti, raccolti tutti all’hashtag #DopamineDetox, contano oggi più di 73 milioni di visualizzazioni, in un viaggio attraverso i benefici che la dis-connessione è capace di portare. Niente TikTok e Instagram, niente Youtube o musica che non sia strumentale, con una sola ora al giorno da spendere davanti a uno schermo, il tutto in un breve periodo di tempo. L’obiettivo di questa “terapia d’urto” è quello di ripristinare i livelli di dopamina, resettare la mente, prendersi una pausa dagli stimoli e aumentare così i livelli di concentrazione, rendimento e coscienza di ciò che realmente promuove il benessere personale.
Sebbene sia evidente la contraddizione di praticare la disconnessione dai social media, riprendendosi mentre lo si fa e postandone gli esiti sulle stesse piattaforme da cui si tenta di “disintossicarsi”, il segnale della prese di coscienza del problema è evidente e condiviso a livello globale.
Uno studio recente, ci aiuta a comprendere quali siano i segnali per comprendere se noi, o chi ci sta intorno, abbia bisogno di un periodo di disconnessione tecnologica. La prima cosa da fare è monitorare i comportamenti. Notare gli impulsi e valutare ciò che che ogni giorno ci allontana dalle cose che dobbiamo realmente fare.
Quando sentiamo il suono o la vibrazione di una notifica, sentiamo l’urgenza di sbloccare lo smartphone per controllare di cosa si tratta? Quanto fatichiamo poi a tornare a concentrarci su quanto stavamo facendo prima?
Qualche consiglio pratico: una tecnica basata sul “controllo dello stimolo ”. 1) Allontanare lo stimolo (come il telefono) o rendere più difficile l’accesso; 2) Impegnarsi in un’attività alternativa incompatibile con lo stimolo (ad esempio fare sport o altre attività che richiedono totale concentrazione); 3) Utilizzare un software per il monitoraggio del tempo di utilizzo delle app.
I social network, le app, il nuovo modo di interagire online a livello sociale, sono concepiti e progettati a tavolino per rispettare un preciso schema comportamentale: Stimolo, Azione, Ricompensa e Investimento.
E se gli adulti, nati in epoca de-digitalizzata, riescono a tenere (relativamente) sotto controllo l’abuso di smartphone, per i più giovani i rischi sono giganteschi. L’82% dei giovani italiani è a rischio dipendenza da smartphone. È uno dei dati che emergono dal progetto “Smartphone addiction: vissuto dei giovani e strumenti di contrasto” del 2021, realizzato dall’Eures in collaborazione con la Regione Lazio e il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
La proposta. Nella scuola primaria e secondaria di primo grado da sempre si promuove l’attività di sensibilizzazione sull’alimentazione sana ed equilibrata. Allo stesso modo, sarebbe importante portare all’attenzione di bambini, adolescenti e genitori, l’importanza di assumere atteggiamenti sani ed equilibrati nell’utilizzo di strumenti connessi. Non proibizione o demonizzazione, ma presa di coscienza, conoscenza, equilibrio e sviluppo della capacità di intercettare segnali negativi che possano far scattare i campanelli d’allarme.