Piazze Amiche
Torna con un racconto breve Giampietro Lazzari, nostro “amico di penna”, collaboratore del bimestrale “Casalmaggiore”, testata dell’omonima Pro Loco cremonese.
Casalmaggiore la troviamo sulla sponda sinistra del Po, a metà strada fra Parma e Mantova, in terra ancora geograficamente lombarda, ma che già sa di Emilia Romagna.
Buona lettura.
Da ragazzo mi regalarono un giradischi
Da ragazzo mi regalarono un giradischi e con lui anche qualche disco già usato dall’originario benefattore. Col tempo ne comprai altri, ma rimasero sempre quei primi quelli ai quali rimasi più affezionato. Ne ricordo uno in particolare: un trentatré giri, forte della sua copertina multicolore e delle sue ragguardevoli dimensioni. Prima di ascoltarlo lo rigiravo sempre tra le mani e lo rimiravo: lato a, lato b; al centro il buco per accomodarlo sul piatto, contornato da un’immagine psichedelica.
Ricordo che, non so se per l’uso assiduo del vecchio proprietario o per qualche difetto di produzione, in alcune parti sembrava che il disco non fosse inciso lasciando spazio, durante l’ascolto, a qualche incomprensibile silenzio. Ma non importava. Ero giovanissimo, poco più che adolescente, e l’emozione che mi dava quella musica era talmente forte che quello rimase per molto tempo il mio disco preferito.
Il tempo passava e le stagioni della vita travolgevano molte cose, e con esse il giradischi. Fu così infatti che, arrivata l’età dove non guastava qualche soldo in più, lo vendetti per poche lire e, con lui il corredo di melodie: tutti i dischi che possedevo, compreso il prediletto.
Negli anni successivi capitava che vi rivolgessi il pensiero, ed esso mi riportava ancora là, nella stanza di quella casa dove lo avevo ascoltato, come trasportato da un tappeto volante fatto di note.
Poi svanì anche la sua mancanza, e il disco cadde nell’oblio insieme ad altre cose.
Finché un giorno – molti, molti anni dopo – sul banco di un mercatino di una città mi capitò di rivederlo. Sembrava proprio lui: il mio disco. Del resto di quell’oggetto ricordavo perfettamente ogni particolare, ogni sfumatura, ogni graffio. Alcune macchie sulla copertina e qualche segno di pastello non lasciavano alcun dubbio, come una sicura firma di appartenenza.
Stava buttato in una scatola di cartone, in mezzo a dozzine di suoi simili, forse abbandonati in qualche soffitta o venduti anch’essi da proprietari irriconoscenti, come io stesso ero stato.
Mi avvicinai, allungai le mani nella scatola e lo presi tra le dita sotto lo sguardo del mercante. Si, era proprio lui.
– Le interessa? – mi chiese sorridendo. Non seppi simulare e in un istante le emozioni che quel disco un tempo mi aveva donato esplosero come compresse un uno spazio troppo esiguo, e si precipitarono fuori come il potente sprazzo di un assolo.
Dopo avergli narrato dell’origine, pagai il venditore, presi il disco e me ne andai, raggiante.
Sebbene da qualche anno un’onda modaiola avesse riportato in vita l’ascolto mediante i giradischi io ne ero privo. Mi recai pertanto in un negozietto musicale, ultimo baluardo di un mondo finito, sapendo che in quel luogo era ancora possibile trovarlo. Dopo due chiacchiere col titolare chiesi il permesso di utilizzare lo strumento.
Estrassi il disco dal suo involucro di cartone, lo appoggiai sul piatto, sollevai il braccio e accomodai la puntina sulla sua superficie, esattamente là, dove decenni prima l’avevo più e più volte adagiata.
L’inconfondibile fruscio dei primi solchi vuoti, quella specie di respiro sonoro prima della canzone si faceva spazio e, come un arcano, insieme ai giri del disco, già sembrava ricondurmi indietro nel tempo. Però, invece delle note, da quell’aggeggio non usciva che un soffio polveroso: niente ritmo, niente musica, niente di niente.
Beh, sarà un guaio del giradischi – pensai. Ma dopo averle provate tutte insieme con il negoziante, risultò chiaro che non vi era nessun problema tecnico: il disco era semplicemente silente, appariva inciso, ma inspiegabilmente muto.
Deluso me ne tornai a casa e per l’intera settimana rimuginai su quella dolorosa fregatura.
La domenica dopo ritornai al mercatino, deciso a vendicare a brutto muso il silenzio del disco o l’inganno che lo aveva provocato.
Mi presentai, con il disco in mano, dal venditore che non fece neppure in tempo a salutarmi perché lo accusai di avermi truffato e, per farlo sentire ancora più in colpa, lo subissai di particolari che confermavano che quello fosse proprio il “mio” disco, di quanto avesse significato per me.
Il mercante mi guardò calmo, sospirò, poi mi si rivolse così:
– Sei fortunato.
– Fortunato? Mi prendi anche in giro! Vendi un disco muto e sono fortunato? – replicai contrariato.
– Si, sei fortunato, ti ripeto. Tu mi dicesti che il disco era stato tuo e che aveva riempito le tue giornate molti anni fa, giusto?
– Si, certo! – risposi.
– Allora ti prego, ascoltami; ti svelerò il motivo della tua fortuna: il disco, in verità, ti ha fatto un regalo; un nuovo ascolto non sarebbe servito altro che riportare in vita vecchie emozioni, piacevoli si, ma sicuramente arrugginite, corrotte dal tempo e di certo non belle come quelle originali. Non sarebbe stato un piacere quanto una pena, all’apparenza forse dolce, ma che alla fine avrebbe sottratto invece di aggiungere, diluito al posto di insaporire, e alla fine dei conti ti avrebbe deluso.
I ricordi, come dolciastri fantasmi, appaiono belli – continuò – ma sono sirene: incantano, attraggono, ma alle fine ci molestano.
Credimi – proseguì l’uomo – Il tuo disco ti ha riconosciuto, e ti ha capito. Ti ha lasciato le cose come erano, evitando che si corrompessero con un ascolto postumo e illusorio. Le emozioni vivono nel loro tempo, lasciale dove stanno.
Però – continuò l’uomo – se proprio lo desideri, ho quel che fa per te: posseggo un marchingegno che riporta in vita i dischi diventati silenti come il tuo. Seguimi, lo tengo qui dietro – mi disse indicando un vecchio furgone alle spalle e rimase fermo col mio disco tra le mani.
Rimasi a riflettere per qualche momento, altalenante tra il non cedere alla lusinga del tempo ed il credere alla rinascita del disco. Pensai alle parole del mercante e alle sue ragioni.
Presi il disco silenzioso dalle sue mani, me lo infilai sotto braccio e me ne andai, sereno, insieme a tutto il suo passato, ancora bello e incorrotto.
Giampietro Lazzari