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lunedì, Maggio 13, 2024

    Quanto sarà difficile essere giovani nel prossimo futuro?


    Quanto è e quanto sarà sempre più complesso essere giovani in un presente che diventa futuro, ogni giorno più velocemente?
    A inizio febbraio ho avuto di nuovo il piacere di incontrare gli studenti della SSIG (le Medie, per intenderci) di Caselle. Ho trascorso in totale 4 ore con loro, incontrando oltre 150 adolescenti, impegnati con la scuola, gli sport, le amicizie, ma costantemente distratti dal richiamo di TikTok, Instagram e Whatsapp.
    Le statistiche dell’Osservatorio di “Social Warning – Movimento Etico Digitale” parlano chiaro: su un campione di oltre 20 mila ragazzi italiani tra gli 11 e i 18 anni, il 95% trascorre più di 3 ore al giorno online e, di questi, l’82% arriva addirittura a 5 ore. Quasi tutti gli studenti che ho incontrato hanno confermato le statistiche nazionali: praticamente tutti (più del 95%) utilizzano lo smartphone e accedono ai social network senza alcun tipo di regola, né vigilanza dei genitori. Già questi numeri dovrebbero portare famiglie, scuola e società civile a fare un ragionamento sull’esposizione incontrollata a strumenti progettati per innescare meccanismi di dipendenza, che possono portare a fenomeni di isolamento o comunque alla ridotta capacità di concentrazione.
    Ma non basta: l’uso indiscriminato degli smartphone, unito all’esposizione di contenuti senza filtri o comunque inappropriati, possono generare ulteriori rischi, soprattutto nella delicata fase evolutiva della crescita. Il rischio di cyberbullismo (tema delle giornate di incontro, insieme al bullismo) e delle fake news, che purtroppo non costituiscono un rischio solo per i più giovani.
    Gli incontri sono stati formativi anche per il formatore. Interessante il confronto sul concetto che “non tutto è qui per nuocere”. Ci siamo infatti confrontati sul fatto che web e smartphone consentono usi positivi oltre l’immaginabile: è possibile accedere a tutto il sapere, in qualsiasi momento, da qualunque luogo. Ed è possibile utilizzare gli strumenti connessi anche per mantenere e sviluppare relazioni personali, che solo per chi proviene da un’altra generazione, possono sembrare “virtuali” e poco “reali”.
    Abbiamo toccato anche il tema di ChatGPT, visto soprattutto come strumento per fare “meno fatica” nei temi, per le ricerche e, in generale, come valido supporto per cercare scorciatoie nel fare i compiti. Volendo offrire un altro punto di vista, con un parallelo all’attività sportiva agonistica (che in molti praticano), ci siamo resi conto che allenamenti troppo leggeri e sporadici portano a scarsi risultati competitivi e, allo stesso modo, decidere di scegliere la via facile per fare i compiti, potrebbe portare a sviluppare scarse capacità domani. Li avrò convinti? Chissà.
    Va detto comunque che ci avviamo a una fase tecnologica e sociale complessa e piena di coni d’ombra. Se da una parte l’intelligenza artificiale migliorerà gli aspetti di tanti settori delle nostre vite (medicina, trasporti, comunicazioni, rapporti con le istituzioni…), dall’altra ci ritroveremo a dover affrontare implicazioni che oggi possiamo solo ipotizzare.
    Ad esempio, ChatGPT oggi è semplicemente un conversatore. È una macchina che è capace di interpretare e comprendere il parlato, trasformandolo in numeri e rispondendo in maniera coerente con questo parlato. Quindi, rappresenta di per sé è una sorta di eco che viene da una caverna. Il problema è che cosa potremo chiedere a quell’eco di fare?
    Se oggi Google ci restituisce 10 risultati diversi quando facciamo una ricerca, domani grazie agli assistenti virtuali basati sull’intelligenza artificiale riceveremo una sola informazione, che diventerà “la verità”. Ma che tipo di verità? Una verità commerciale, politica o algoritmica? E di nuovo tornano gli algoritmi, formule matematiche in grado di tenerci incollati agli smartphone mentre “scrolliamo” video su TikTok o foto su instagram, in grado di capire meglio di noi stessi cosa ci piace vedere e ascoltare, fornendoci solo contenuti a cui facciamo sempre più fatica a resistere. Algoritmi che oggi definiscono quali risultati mostrare per primi su Google e, domani, sapranno dirci ciò che vogliamo (o che vogliono) sentirci dire. Algoritmi che, ad un certo punto, non potranno più essere solo l’espressione di un servizio digitale di qualche big-tech, ma dovranno diventare argomento su cui intavolare discorsi legislativi, etici, sociali e filosofici. “Algoretica” è il neologismo che ha coniato Padre Paolo Benanti, ovvero la necessità di rendere l’etica “algoritmizzabile”, cioè capibile non solo dall’essere umano, ma anche eseguibile dalla macchina e in qualche misura computabile dai processori. Cito Padre Benanti: “L’intelligenza artificiale ci mette a disposizione tante potenzialità. Siamo abituati a pensare che agisca sulla realtà, ma è importante capire che agisce sulla sua proiezione, sulla sua rappresentazione. Invece di perdere delle capacità, rischiamo di perdere la capacità di interrogarci sulla differenza tra il vero e il verosimile. Sulla distanza che c’è tra la realtà e la sua rappresentazione e, ancora, tra la realtà e le rappresentazioni più o meno manipolate o più o meno manipolabili della realtà. Stiamo perdendo la capacità di immaginare, perché abbiamo a disposizione una tecnologia che è in grado di destrutturare la complessità della realtà in una serie di unità interpretative”. Auguri a tutti noi.

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