A circa un anno di distanza dal mio ultimo articolo sull’intelligenza artificiale e sull’impatto che questa potrà avere sul futuro del mondo del lavoro, posso dire che ne sembrano trascorsi 10. L’evoluzione tecnologica ha subito un’accelerazione incredibile, che non lascia tempo per la reale comprensione di tutte le implicazioni e dinamiche messe in atto.
L’evoluzione frenetica della tecnologia tocca gli ambiti più importanti della vita delle persone: educazione, socialità, economia, informazione e lavoro. Ed è proprio sul tema del lavoro che vorrei tornare, per fare il punto sui progressi fatti e sulla percezione che le persone hanno del cambiamento in atto.
Nonostante le TRE leggi fondamentali della robotica sul totale asservimento dei robot agli esseri umani, postulate in tempi non sospetti da Isaac Asimov, l’impatto di IA e robotica sul mondo del lavoro, potrebbe creare scenari complessi, sia sul piano della ricchezza, sia sul piano dell’occupazione. Di qui, quell’inquietudine oscillante lungo la sottile linea rossa che demarca il confine tra umano e non umano, induce a scivolare in alcune, ormai sempre più ricorrenti, domande: in che modo i robot cambieranno la nostra vita, ci toglieranno posti di lavoro ma, soprattutto, c’è da aver paura dell’intelligenza artificiale? In Italia, l’intelligenza artificiale sta suscitando un acceso dibattito, oscillando tra la paura di un impatto negativo sul lavoro e la speranza di nuove opportunità professionali. Secondo una recente indagine IPSOS, Il 53% degli intervistati, su un campione di circa 1.000 persone dai 16 anni in poi, mostra preoccupazione nei confronti dell’intelligenza artificiale ritenendo che possa influire sugli stipendi, riducendoli, per via della diminuzione delle ore lavorate. L’apprensione dei cittadini coinvolti nell’indagine, oltre agli stipendi, riguarda anche i posti di lavoro tanto che il 68% afferma di essere molto o abbastanza d’accordo con il fatto che l’IA indurrà a una riduzione del personale nelle aziende, mentre per il 55% sarà addirittura la causa della chiusura di attività e il 71% ritiene che siano soprattutto le aziende più grandi e strutturate a beneficiare dell’IA rispetto a quelle più piccole.
Nonostante queste preoccupazioni, molti italiani riconoscono i potenziali benefici dell’IA. Circa il 63% degli intervistati vede l’IA come un catalizzatore per lo sviluppo di nuove professioni, con un focus particolare sulla gestione e supervisione dell’IA stessa. L’IA potrebbe anche liberare tempo per concentrarsi su mansioni più complesse, migliorando efficienza e produttività (65%) e aumentando la sicurezza nelle mansioni rischiose (61%). La formazione emerge come un fattore chiave, con il 73% del campione intervistato che ritiene essenziale un’adeguata formazione per i dipendenti. Questo non solo come strumento di tutela, ma anche per garantire che i lavoratori possano controllare e comprendere appieno le nuove tecnologie. Infatti, il 57% del campione ritiene fondamentale essere informati sul funzionamento dell’IA. L’impatto dell’IA sulla socialità sul posto di lavoro rivela un quadro contrastante. Da un lato, il 40% teme un maggiore isolamento dai colleghi, mentre dall’altro, una quota analoga vede nell’IA uno strumento per connettere persone in sedi diverse o che parlano lingue differenti.
In conclusione, l’intelligenza artificiale in Italia rappresenta un campo di tensione tra rischi e opportunità. Mentre le preoccupazioni legate alla riduzione degli stipendi e dei posti di lavoro sono palpabili, c’è anche una crescente consapevolezza dei benefici che l’IA può portare. La formazione dei dipendenti e una solida regolamentazione emergono come elementi cruciali per navigare in questo scenario complesso, con l’obiettivo finale di migliorare la qualità di vita e di lavoro dei cittadini italiani.