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mercoledì, Maggio 15, 2024

    La musica è finita?

    Il triste scenario dei live nella musica indipendente ed emergente

    La musica è finita, gli amici se ne vanno… Anzi no, non sono proprio venuti al concerto, e se sono venuti sono rimasti fuori a chiacchierare nel cortile del pub, senza neppure ascoltare una nota dell’esibizione. Ahimè, non è lo scenario di un futuro distopico, ma la realtà di molti concerti che si svolgono nei locali della provincia e della città. Odio andare a scomodare i tempi andati, evocando una vaga età dell’oro della musica nell’ottica del “si stava meglio quando si stava peggio”:  tempi in cui i musicisti non disponevano della vasta tecnologia di oggi; quando, per registrare un album o un  singolo o anche solo un demo decente, dovevi  rivolgerti a una costosissima e per quasi tutti proibitiva sala di registrazione; tempi in cui, se volevi far conoscere la tua musica, dovevi spedire in giro la tua cassettina con la copertina fotocopiata. Però è un dato di fatto che, almeno fino ai primi anni del nuovo millennio, agli albori dell’era globalizzata, la situazione dei live era molto più stimolante di quella odierna. La gente andava nei locali dove si suonava per ascoltare “davvero” la musica, a differenza di oggi, quando il concerto sembra più che altro un optional, di cui, in fondo, frega poco o niente. E così si assiste spesso a questo desolante scenario: la band sul palco, con tutta la sua attrezzatura superprofessionale (roba impensabile negli Anni Ottanta), l’impianto luci, l’abbigliamento scelto con cura, davanti a un pubblico di quattro o cinque persone, per lo più composto dalle fidanzate, quando va bene, da qualche intramontabile amico d’infanzia e talvolta, incredibile ma vero, dai genitori. Ma la vita vera, l’autentica movida è fuori, con decine di persone che si divertono, appena lievemente infastidite dalle note che provengono dall’interno. Sembra una provocazione, ma in realtà è il quadro fedele di molti concerti a cui ho assistito negli ultimi anni. Ed è così che, mentre nella gloriosa età dell’oro della musica live i gestori  contattavano le band per chiedere di suonare nel loro locale, oggi la situazione è completamente diversa: quando si propone la propria musica ai gestori scatta in automatico la fatidica domanda: “Ma quanta gente porti al concerto?”. Come se fosse compito del musicista trovare il pubblico, pubblicizzare l’evento, eccetera eccetera. Perché succede questo? Come si è giunti a questa deprimente realtà?

    Ho voluto a chiederlo a qualcuno che ne sa più di me su questo argomento. In primo luogo l’ho domandato a Gianpiero Madonna, musicista e storico della musica, autore di due libri fondamentali per la memoria storica della musica rock della provincia piemontese. “In effetti è tutto cambiato negli ultimi anni”, mi risponde.  “Un tempo andavi nel locale apposta per sentire la musica e se il gruppo era sconosciuto, spesso eri ancora più curioso di sentire qual era la loro proposta. Oggi questa curiosità non esiste più. Sicuramente il web, dove con pochi clic puoi accedere a tutta la produzione  planetaria ha contribuito ad alimentare questo disinteresse per la musica live. E così succede che il concerto in un pub sia più che altro un’occasione per incontrarsi. Ci si trova, si rivedono vecchi amici, il concerto è più che altro un sottofondo.”

    Un altro interessante commento sull’attuale scenario della musica live indipendente mi giunge da Parigi. Qui da 12 anni vive Sabino Pace, che è stato musicista attivo in diverse formazioni underground, tra cui i famosi Titor, ma soprattutto direttore artistico del Taurus di Ciriè, lo “spazio di libera espressione elettrificata” nei leggendari anni dal 2006 al 2012, quando il locale ciriacese situato nell’ex area Remmert era stato un punto di riferimento fondamentale per la cultura non solo musicale del territorio. A Sabino ho chiesto, in primo luogo, se una situazione del genere si verifica anche in Francia.

    “Premetto che debbo evitare paragoni con l”attuale scena underground parigina e francese”, mi risponde, “perché non riesco a frequentarla, salvo  il constatare che vi sono una miriade di live quasi quotidiani che rispondono a diversi pubblici e gusti e che in Francia esiste “l’intermittance”, il sussidio mensile per i musicisti: per alcuni un mezzo concreto di investimento e sostentamento, per altri un rifugio sicuro per non sbattersi troppo per promuovere il proprio prodotto. Pertanto il pubblico è anche figlio di queste agevolazioni istituzionali. A Torino o nelle grandi capitali italiane constato un po’ meno live a livelli di quantità nell’underground, ma forse un po’ meglio organizzati di un tempo e, suppongo, con la giusta dose di pubblico amante e partecipante concretamente. In talune province il problema che esponi, spesso, persiste nel tempo e si ripropone ciclicamente. Quello che fece in Taurus in quei 6-7 anni fu strategicamente di creare un sistema fatto di bands, supporters, amatori, aiutanti, collaboratori, cazzeggiatori, bevitori, addetti ai lavori, istituzioni, tutti partecipanti in diversa misura ma attraverso un sentimento di aggregazione e partecipazione divertita. Questa cosa permise, a fasi e fortune alterne, ma con un lavoro davvero enorme dietro, di poter far sì che si potessero fare molti live, solitamente con una buona partecipazione di pubblico e quando non troppo partecipati comunque soddisfacenti per le bands. Ad oggi penso si debba provare a ricreare un sistema analogo, anche nella provincia torinese. In collettivo dapprima e poi sviluppando i vari rami. E sopratutto, come diceva Carmelo Bene, ripartire dalle cantine!”

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    Luigi Bairo
    Luigi Bairo
    Autore, giornalista e musicista. Ha pubblicato libri dedicati alla “cultura della bicicletta”, resoconti di viaggio, testi di argomento pedagogico, di narrativa per ragazzi e di storia locale. Ha scritto di musica per il settimanale Il Risveglio ed è autore per la rivista Canavèis.

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