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martedì, Maggio 14, 2024

    Immergersi nella natura…cercando oro!

    Gran bella sorpresa l’incontro con Silvio Bianco, ex vicecampione mondiale di goldpanning, cercatore di oro per hobby. Mi ero ripromessa di sperimentare questo tipo di ricerca per curiosità e per offrire a tutti i lettori la possibilità di “vivere” attraverso il mio racconto quest’esperienza,  suscitando o spegnendo entusiasmi. Sì, comincio subito con una doccia fredda: qui da noi, in Italia, in Europa, cercare oro non permette di sopravvivere perché anche se il limite stabilito dalla legge italiana è di 5 grammi al giorno, solo in casi di giornate proprio fortunate si riesce a raccogliere 1 grammo d’oro. Nel torrente Cervo (Biella) abbiamo avuto un rinvenimento di una pepita da 49,3 grammi e, primato recente, una da 93 grammi nell’Ovadese, ma è cosa da superenalotto! Si potrebbe vivere cercando oro…nel terzo mondo , dove un grammo d’oro a settimana  te lo consentirebbe alla grande. Incontro Silvio Bianco con la moglie Laura a Montanaro e li seguo con  mio marito sul greto dell’Orco, in un punto in cui le alluvioni più recenti hanno sfondato uno stretto canaletto dove prima era possibile il guado ed eroso la riva, strappando alberi e creando un gran deposito di sabbia e pietre di varie dimensioni e colore. È il posto giusto. Qui, L’Eva d’or (antico nome dell’Orco suggerisce Laura, appassionata di storia) nel corso delle piene che durano diversi giorni trascina a valle le sabbie più leggere, lasciando depositare i materiali più pesanti come granito, quarzite, serpentino, magnetite e oro, sulla prima area del ghiaione sopra la riva. Non ho ancora idea di come siano le pagliuzze e le pepite! Silvio mi spiega che quando le vedrò non dimenticherò più come sono! Mi devo preparare a vedere cose…piccole: un cubetto di oro da 1 grammo ha 1,3 mm di lato, però è talmente malleabile che possiamo farne una sottilissima lamina di 1 metro quadro oppure un filo di 10 km! Invece queste sono lamine così sottili che in condizioni di vento, se ben asciutte, potrebbero diventare “vele”ed essere trascinate via, aggiunge Laura.

    Le pagliuzze sono piccoli lamine, le pepite possono essere altrettanto piccoli granellini di  varie forme e per convenzione vengono chiamate così quando presentano almeno ¼ di spessore rispetto alla superficie. Mi guardo intorno perplessa. Dove si trova quest’oro? Vedo solo sabbia, pietre, radici divelte. Silvio Bianco mi parla con precisione scientifica e l’entusiasmo di chi si dedica con una passione non superficiale a questa attività. Mi spiega che l’oro che raccoglie verrà sistemato in espositori per una collezione monotematica, perché nello stesso torrente in ogni settore del suo percorso l’oro può essere diverso per colore, forma, spessore: mi sorprende raccontando che nel percorso dell’Orco ne ha individuate e classificate ben 30 tipologie diverse; ogni uscita viene registrata in un report personale: torrente, località, tipo di oro rinvenuto ecc…Sono ormai 1013 uscite (conto anche la mia…)! D’altra parte è dal 1982 che Silvio Bianco alterna la passione per la ricerca mineralogica a quella dell’oro; ha cominciato con la guida di un amico canavesano come lui, a cercarlo nei torrenti piemontesi e ultimamente anche in certi piccoli ruscelli che, a conferma di una nuovissima teoria che sta appassionandolo, offrono inaspettatamente la presenza di oro. Si tratta di una teoria sull’origine batterica di almeno una parte dell’oro: esistono colonie di batteri che in certe condizioni e in presenza di solfuri ferrosi possono attuare dei processi bioossidativi e depositare oro puro fino al 99% che nel giro di pochi anni grazie alla presenza di un catalizzatore ( che favorisce e fa prosperare questi strani batteri) possono originare pepite con una struttura più liscia e omogenea sia esternamente che all’interno, senza inclusioni di altri minerali come sarebbe una pepita di origine eluviale liberatasi dalla roccia nei pressi delle miniere d’oro. La teoria tradizionale fa risalire la presenza dell’oro in tutta la pianura padana e non solo, al periodo in cui per corrugamento della crosta terrestre si sono formate le Alpi e i metalli pesanti hanno potuto risalire, imprigionati nelle rocce che poi con il lavoro di sgretolamento dovuto agli agenti atmosferici e al movimento dei ghiacciai sono stati dilavati e spinti sulle sponde o nelle buche dell’alveo dei torrenti. Questa teoria non spiegherebbe molti depositi secondari auriferi e la presenza di oro in zone lontane da colline moreniche. Silvio Bianco invece lo sta trovando proprio lì, a dimostrare anche notizie attinte da vecchi documenti (la ricerca dell’oro è antichissima) che parlano di ritrovamenti in corsi d’acqua diversi da quelli conosciuti ai più, anche perché più ricchi di materiale, come l’Orco, il Ticino, l’Elvo.

    Quando siamo arrivati sul greto c’erano ancora nebbie impigliate nei boschi vicini, ora c’è un sole caldo, la mascherina antiCovid sul viso dà fastidio, ma finalmente si lavora! Mi presenta l’attrezzatura che usa di solito, ma prima mi lascia ammirare alcune scatoline in cui ha esposto pagliuzze e pepite, con tanto di cartellino e le indicazioni scritte con una calligrafia adeguata: piccola e perfetta! Ecco la canaletta: una specie di ponticello in legno, con le sponde, lungo una sessantina di cm con un ingresso coperto da tappetino zigrinato, e una decina di stecche di legno  che fanno da ostacolo al passaggio dei materiali. Si mette in acqua dove la corrente passi sopra senza troppa violenza e si cerca di trattenere i materiali pesanti che vengono lasciati cadere dal cercatore. Noi però abbiamo usato solo la batea: una bacinella con un arco interno percorso da scanalature. “Usando bene la batea si ottengono ottimi risultati. Un buon cercatore compie prima un sopralluogo e individua il posto più adatto alla ricerca e sceglie solo le attrezzature indispensabili!”
    È una ricerca che lascia il terreno intatto, da noi non usiamo ruspe o cose simili come si vede in certi documentari televisivi; per fortuna in Piemonte non vengono rilasciate da circa ottant’anni concessioni per scavi sui greti dei fiumi che hanno nel passato danneggiato l’ecosistema. E quando noi scaviamo siamo tenuti a ripristinare il terreno per evitare che nelle buche possano restare intrappolati animali o anche pescatori nel caso l’acqua sia risalita.”   Chino sul greto Silvio mi fa prima osservare come dietro pietre embricate, messe un po’ come le tegole si può scoprire già un indizio: se sollevandole appare un deposito scuro dovuto a magnetite e qualche granello rosso di granato allora possiamo ragionevolmente pensare che ci sarà anche oro! Lo stesso osservando dietro massi più grandi dove il flusso d’acqua possa essersi diviso e poi ricomposto dietro la pietra, con un attimo di rallentamento e di deposito di materiali pesanti. Prende un po’ d’acqua e …lava le pietre più grandi nella batea (non si sa mai che qualche pepita vi si sia attaccata), poi radunati, rastrellando in superficie, un po’ di pietrisco e sabbia (non in profondità, lo insegnavano già i nostri vecchi) con una sessola riempie la batea.

    “Ora è il momento più faticoso: entra in acqua e appoggiati i gomiti alle ginocchia, tiene la batea inclinata nell’acqua a favore di corrente, con la parte scanalata in basso e muovendola con rotazioni e piccoli movimenti d’onda fa scivolare pietre e materiali più leggeri fuori . La sabbia che pian piano rimane è sempre più nera, segno della presenza di magnetite; fa entrare acqua e anche questa sabbia scura fluisce; si gira con le spalle al sole: mentre piccole onde salgono verso l’alto della batea con movimenti più lenti, qualcosa di luccicante comincia ad aggrapparsi in alto mentre il resto scivola via.  Oro! Lo vedo finalmente e non è quello che luccica ma ancora scivola nell’acqua! Quella è mica! Quattro pagliuzze e una pepita nel primo giro. Il mio entusiasmo naturalmente è alle stelle: Silvio ripete il lavaggio di pietrisco quattro volte e sempre appare il luccichio inequivocabile dell’oro. Poi tocca a me. Facile? Nooo! Provo, ma deve intervenire più volte il maestro perché le mie pietre non obbediscono, le mie magnetiti non se ne vanno, le mie pagliuzze si nascondono! Ma eccole, alla fine posso dire che ho cercato oro e l’ho trovato!

    Con un contagocce assorbiamo le minuscole particelle e le infiliamo in una provetta. Ci meritiamo una pausa pranzo da cercatori, su un isolotto erboso salvato per ora dalle piene. Intanto Laura mi racconta come avvengono le gare per eleggere i migliori cercatori! Si tratta di gare mondiali, come quella a cui Silvio ha partecipato alcuni anni fa a Mongrando (Biella) classificandosi al secondo posto in coppia con un amico: viene consegnato un secchio contenente sabbia e ghiaia in cui vengono seppellite da cinque a dodici pagliuzze e pepite. Vince chi le trova nel minor tempo possibile. I grandi campioni nel giro di un minuto  o poco più le trovano!  Il prossimo campionato mondiale si svolgerà in Canada nel fiume Klondike, mitica terra della corsa all’oro nell’Ottocento: pensate che 400 000 kg d’oro furono prelevati dal fiume Klondike durante quel periodo! Silvio Bianco però organizza anche qui nei nostri torrenti delle gare di questo tipo con la sua Associazione “ Oro in natura” (che trovate anche su fb).

    Nel pomeriggio mi porterà ad esplorare uno di quei famosi ruscelli che contro tutte le teorie tradizionali, inaspettatamente nasconde sulle sue timide rive, tra muschi e felci, piccoli tesori luccicanti che colonie di batteri come piccoli gnomi invisibili si affannano a produrre.

    Che giornata, ragazzi! Torno con una provetta piena d’acqua dove sul fondo dormono una pepita e una trentina di pagliuzze. Sono le 17. Silvio Bianco, non è solo un cercatore d’oro, è uno studioso e un grande divulgatore. Fino all’ultimo minuto ha spiegato, mi ha fatto osservare, mi ha insegnato. Non è geloso delle sue conoscenze, ma per ora non rivela il nome dei ruscelli che in ogni caso non sarebbero appetibili per chi cerca “solo” di trovare oro; lì ce n’è poco, quel che basta per dare concretezza alla teoria che lo appassiona. Mitico.

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    Nazarena Braidotti
    Nazarena Braidotti
    Braidotti M.Nazzarena in Gaiotto Nata a Ciriè(To), tre figli, ex insegnante a Caselle, vive a Torino. Laurea in Lettere con una tesi sul poeta P.Eluard, su cui ha pubblicato, per Mursia, un “Invito alla lettura”. Grandi passioni: la scrittura, tenuta viva nella redazione di “Cose Nostre” e altri giornali locali e l’acquerello.

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