La magia di Porta Prà

Lino Pastore e la Caselle dei primi Anni Settanta, fra sogni e musica

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1913

Gli anni passano e i politici non faranno mai niente per rendere il mondo migliore, ma in tutto il mondo i ragazzi e le ragazze avranno sempre dei sogni, e li tradurranno in canzoni.
Richard Curtis, I love radio rock

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Di Lino Pastore abbiamo parlato lo scorso anno, nel primo numero di questa rubrica. È stato uno dei pionieri della musica pop e rock della provincia, punto di riferimento per diverse generazioni di musicisti. Ma è stato anche osservatore attento della vita in queste terre di cintura, dove amicizia, musica e progetti si incontravano.
Oggi gli cediamo questo spazio, perché ci possa raccontare…

“Molto tempo fa, quell’incrocio di Caselle situato in direzione Leinì, oggi denominato ” La camera a gas”, era uno degli angoli più tranquilli e silenziosi del paese. All’epoca era detto “Porta Prá” (Porta dei prati) e segnava il limite est dell’abitato, poco dopo via Bianco di Barbania.
Dopo le case si accedeva all’incrocio tramite un ponticello, delimitato ai lati da due muretti, che attraversava un bialerone. Oltre il ponte, l’incrocio, e oltre l’incrocio la strada che porta a Leini, che subito dileguava in uno spazio infinito fatto di prati (appunto), boschetti e quasi sempre, d’inverno, una fitta nebbia, d’estate invece un tripudio di grilli e cicale.
Da quell’incrocio, in direzione nord, passavano anche le auto che andavano a Ciriè da Torino, ma dopo le ore di punta erano poche e la sera tardi il traffico si fermava quasi completamente sicché Porta Prà diventava un luogo appartato, silenzioso e suggestivo e l’unico suono udibile era l’acqua della bialera.
Nel 1970, 71, io e l’amico Vincenzo Faletti (Censín), all’epoca quattordicenni, alcune sere si andava lì, seduti su quel muretto, a fumare, a chiacchierare, ridere (tanto) e soprattutto … sognare.
Sognavamo la musica, quella bella: i Beatles, i Creedence, Iron Butterfly… Sognavamo l’amore (di quelle ragazze viste per le vie del paese e che forse ci avevano sorriso. Anzi, senza forse, ci avevano proprio sorriso!), sognavamo l’avventura della vita.
A volte ci portavamo dietro una chitarra (la piccola Eko acustica con cui tutti iniziavano in quegli anni) e fu su quel muretto che Censín mi insegnò i primi due accordi sulla chitarra (io all’epoca suonavo la batteria): re maggiore e mi settima.
Mezzo secolo fa, su quel ponticello affacciato sul mistero, in quella magia che ancora porto nel cuore, noi due ragazzi non sapevamo di essere tra gli ultimi esemplari di uomo da cortile, ultima generazione ancora insufflata di romanticismo.
Lì, al centro del “proprio” mondo, a pensare in pace i “propri” pensieri, e sognare i “propri” sogni.”

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