Il vigile del fuoco Mauro Cavallo è il nuovo Casellese dell’anno e succede a Carlo Barba.
Nato nel 1962, si è trasferito a Caselle da Torino, insieme ai genitori, nel 1965. Effettuò già il servizio di leva come vigile del fuoco nel 1981. Nel 1982 prestò servizio come volontario presso il distaccamento di Caselle ed il 1° marzo 1983 diventò vigile effettivo. Sposato, ha due figlie e una splendida nipotina. Il nostro concittadino fa un lavoro eccezionale, per certi versi assai inusuale, dove ogni giorno si rischia qualcosa consapevolmente. Un mestiere che definirlo tale è sminuente: è una missione, una passione che ti nasce dentro e che non ti lascia più. Ma un vigile del fuoco non è un folle, non è un superman come si vede nei telefilm americani: è un professionista, formato dal primo all’ultimo giorno di carriera per aiutarci in caso di necessità. L’uomo intervistato per l’occasione è, per l’appunto, un uomo capace di emozionarsi per ciò che fa, senza paura di mostrarsi per ciò che è, al quale vanno i nostri ringraziamenti a priori per il lavoro che fa, insieme ai suoi colleghi, ogni giorno. Anche se quanto accaduto all’Hotel Rigopiano, nel gennaio scorso, tutti vorremmo non fosse mai successo.
E’ il nuovo Casellese dell’anno, se lo aspettava? Quali sono state le sue prime reazioni?
“Sinceramente non me lo aspettavo, anche perché continuo a pensare di non aver fatto nulla di eccezionale, a parte il mio dovere.
Qualunque vigile del fuoco avrebbe fatto le stesse cose che ho fatto io, senza esitazioni: ci addestriamo tutti i giorni per affrontare queste cose, siamo dei professionisti. Comunque è ovvio che sono orgoglioso e commosso: tanta gente, magari che neanche conosco di persona, mi ha votato. Sono stupito e felice di questo. Ringrazio tutti quanti.”
Il suo mestiere è il vigile del fuoco. Ma secondo me, più che un mestiere è una passione, una missione… Perché lo ha scelto?
“L’ho scelto perché arrivo da una famiglia di vigili del fuoco. Mio nonno l’ha fatto durante il periodo bellico, mio padre l’ha fatto per tutta la vita, per 40 anni. Io ho cominciato a conoscere le caserme fin da piccolo e una volta salito su di un’autopompa, su di un camion, non lo dimentichi più. Per me è stata una scelta facile, di passione come dice lei nella domanda. La mia maestra delle elementari mi disse una volta che già in un tema avevo scritto che avrei voluto fare questo mestiere.“
Venerdì 20 gennaio 2017, Hotel Rigopiano. Cosa ci vuol dire di quei momenti infiniti ed emozionanti?
“Sono emozionato ancora adesso ed ogni volta che racconto quelle ore è la stessa cosa. Partimmo dal campo base di Penne alle 6 del mattino dopo aver affrontato il viaggio dalla nostra caserma di Corso Regina Margherita e senza praticamente esserci riposati. Ero con il mio funzionario ed altri due colleghi. Quando arrivammo sul luogo ci trovammo davanti una scena diversa da quello che pensavamo: ci parlarono di un crollo, ma non si vedevano macerie, solo neve. Quella mattina il nostro funzionario ebbe un’intuizione. “Per me l’hotel è in quel punto preciso” ci disse e, chiamato il manutentore dell’albergo, miracolosamente scampato alla tragedia, si mise a sondare l’area. Noi eravamo poco distanti e sondavamo altre aree, come da protocollo. Ad un certo punto ci chiamò: a circa 3 metri sotto la neve sembrava ci fosse qualcosa. Scavammo ed effettivamente trovammo una porzione di tetto dell’hotel. Fatto un foro secondo protocollo, mi ci infilai perché è la mia specializzazione nell’ambito del nostro team. Ho cominciato a scavare ed a rimuovere le macerie a mano, perché lo spazio era davvero limitato. Dopo alcuni metri ho chiamato e mi è sembrato di sentire rispondere una donna! Non mi sembrava vero e dopo qualche minuto ho riprovato: la voce è arrivata ancora più convinta. Si chiamava Adriana ed aveva accanto a sé il figlio Gianfilippo: erano incolumi, ma bloccati su di un divano con una porzione di tetto a poca distanza che li aveva probabilmente salvati, ma ora non gli permetteva di spostarsi da lì. Non potevo crederci: proprio io avevo avuto la fortuna di trovare delle persone vive.
Purtroppo il più delle volte con questi interventi non possiamo far altro che estrarre cadaveri, invece loro erano vivi ed in contatto vocale con altri superstiti. Tornai in superficie per avvisare i miei tre colleghi che c’erano almeno sei sopravvissuti: anche loro erano increduli. Mi ricalai e ricominciai a scavare a mani nude. Dopo poco venni affiancato da un collega di Pisa, sopraggiunto al diffondersi della notizia del ritrovamento. A circa 3,5 metri di profondità riuscimmo ad entrare in contatto con madre e figlio: è stato un momento incredibile, molto emozionante. Preparammo l’uscita in superficie, prima del bimbo, poi della madre. Purtroppo, al contempo, ci rendemmo conto che altri quattro superstiti non potevano essere raggiunti da dove eravamo e bisognava ricominciare da capo. Alla fine insieme ad altri colleghi tirammo fuori anche loro. Finimmo alle 3 del mattino del giorno dopo. Tornammo a Penne e tempo, tre ore, eccoci di nuovo al lavoro. Ripensando a quando arrivammo sul posto il 19 gennaio, non è che razionalmente si potevano nutrire grosse speranze, ma noi siamo degli ottimisti inguaribili e comunque, anche avessimo trovato “solo” corpi senza vita, meritavano lo stesso rispetto, lo stesso impegno e la stessa intensità che ci mettiamo in ogni nostro intervento.“
Cosa ci dice degli incendi in Val di Susa e Pinerolese?
“Una situazione drammatica. E’ vero che gli incendi si sono sviluppati nei boschi, ma l’area è fortemente antropizzata e ci è pure scappato, indirettamente, un morto. La siccità, unita al vento forte tipico della Val di Susa ed alla tipologia dell’area d’intervento hanno creato una situazione difficile. Il forte vento ha limitato anche l’impiego di elicotteri e Canadair. Anche a distanza di giorni non possiamo ancora esprimerci con precisione sulla causa, o sulle cause che hanno innescato gli incendi, perché l’indagine è ancora in corso, ma è altamente improbabile che non vi sia una componente umana. Intervenire in questi luoghi mi ha fatto tornare in mente gli incendi del febbraio 1990 nelle Valli di Lanzo: le stesse condizioni climatiche, le stesse causalità d’innesco. Chi appicca incendi dovrebbe capire che c’è chi rischia la vita in conseguenza di un loro gesto sconsiderato e stupido, oltre ai danni materiali che arreca. Non capisco il senso di questi comportamenti idioti.”
A chi vuole dedicare questo riconoscimento?
“Prima di tutto a mio padre: se sono un vigile del fuoco è grazie a lui ed al suo esempio. Era una grande persona ed ho avuto anche la fortuna di lavorarci insieme. Credo proprio che sarebbe stato orgoglioso di questo riconoscimento. E’ morto nel 2006. Non mi vergogno di dire che sono andato sulla sua tomba a raccontargli quanto successo. Poi naturalmente lo devo alla mia famiglia ed ai miei amici che mi sopportano.”
Cosa vuol dire ai suoi concittadini?
“Vorrei innanzitutto ringraziarli per la stima che hanno nei miei confronti. Vorrei però ricordar loro che sono sempre lo stesso Mauro di prima! Io non sono un eroe: per me un eroe è chi fa un’azione che esula dalla sua quotidianità, dal suo contesto. Noi siamo dei professionisti e siamo addestrati ogni singolo giorno a compiere queste azioni: da quando facciamo il corso d’addestramento a quando andiamo in pensione. Qualunque collega avrebbe fatto le stesse cose che ho fatto io. Non sono un eroe, un vigile del fuoco è al servizio di tutti sempre, sia quando dobbiamo intervenire per aprire una porta con le chiavi rimaste dentro, sia quando purtroppo dobbiamo affrontare una tragedia, come un terremoto.“