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martedì, Marzo 19, 2024

    Il miracolo del pianoforte

    Credo che tutti noi, se ci facessero votare su “quale sia lo strumento musicale più popolare”, opteremmo per il pianoforte.

    Infatti quale altro strumento è in grado di conglobare in sé tutte le voci dell’orchestra? le sonorità delicate dei legni e i fragori degli ottoni? la levità dei toni d’arpa e il martellamento di timpani o grancassa? Nel pianoforte geme, vibra e si espande tutto il mondo. “L’invenzione del pianoforte” scrisse George Bernard Shaw “è stata per la musica ciò che l’invenzione della stampa fu per la letteratura.”

    La sua nascita è attribuita al padovano Bartolomeo Cristofori, un liutaio e organaro che, assunto dal granduca di Toscana Ferdinando de’ Medici e pungolato da lui, mise a punto uno strumento le cui corde non venivano pizzicate, non avevano cioè suono fisso (come nei clavicembali, virginali, spinette ecc.), ma erano colpite da martelletti, i quali, a seconda della forza adoperata per azionarli, potevano generare volumi di suono diversi: appunto il “piano” e il “forte. Cristofori seppe inserirsi genialmente in una lunga storia di tentativi abortiti o mal gestiti durata per più di due secoli. L’invenzione tradizionalmente si situa attorno al 1699 o al 1700.

    Da quel momento, con una progressione lenta ma implacabile, il nuovo  strumento  passò dall’uso modesto e diffidente che ne veniva fatto nella prima metà del Settecento ai fasti e alle glorie della seconda metà del secolo.  E giusto attorno al 1780, col superamento del termine “fortepiano” in favore del definitivo “pianoforte”, si può fare iniziare la sua storia moderna. Quella di cui Mozart fu superstar: il primo vero solista di pianoforte che, con la sua tecnica elegante, sfumata e immacolata seppe sfruttare le opportunità inedite dello strumento, sia nell’assolo che nel confronto con l’orchestra, creando si può dire dal nulla uno stile vincente. Il pianoforte transitò poi dalle mani sapienti di Haydn e Clementi a quelle di Beethoven, che vi impresse l’ampliamento concettuale e il coinvolgimento emotivo necessario a fare di questo strumento il re della meditazione attraverso i suoni. Alla forza dell’Uomo di Bonn, il suo contemporaneo Franz Schubert aggiunse sorrisi, lacrime e sospiri.

    Tutto ciò fu reso possibile grazie ai progressi tecnici. I martelletti passarono dal rivestimento in cuoio al feltro; la cassa, dall’intelaiatura in legno di cipresso, passò prima ai rinforzi metallici e poi (1825) alla piastra in ghisa; i pedali di risonanza, presenti fin dall’inizio, col tempo crebbero fino ai tre-quattro dell’attuale “grancoda”; l’invenzione del doppio scappamento (1821) consentì alla tastiera di raggiungere una velocità impressionante. Dalle cinque ottave iniziali, già nel 1827 l’estensione era passata a sette ottave, vicinissima al traguardo attuale di sette ottave e una terza minore. Tutte queste migliorie ne fecero una specie di “monstre” buono a riprodurre l’intero esistente, la realtà e la magia, il mondo della luce e il mondo dell’oscurità. Non per nulla il grande pianista Murray Perahia ha detto che “suonare il piano è un’arte assai simile all’illusionismo”.

    Durante tutto l’Ottocento la febbre del pianoforte conobbe dimensioni da epidemia. Nessuna casa poteva farne a meno. Nessuna fanciulla poteva esimersi da studiare il piano. La grande “triade” formata da  Chopin, Schumann e Liszt – nati a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro – portò alle stelle la  popolarità dello strumento, il cui regno si allargò dall’Europa all’America e dall’America all’Asia; basti dire che sul finire del secolo anche il misurato, sospettoso Impero del Sol Levante era sommerso da miriadi di pianoforti.

    Il ‘900 non conobbe stasi né freni, anzi  si rivelò inesauribile nella scoperta di nuove tecniche e nuovi esperimenti sia nel timbro che nella sostanza. Il pianoforte divenne una specie di mistero mai del tutto svelato di cui i compositori continuavano ad esplorare le infinite possibilità (spesso usando violenze ed eccessi, come i “pianoforti preparati” ecc.) e ancor oggi non si vede il punto di arrivo. Ma è la sua stessa duttilità a renderlo esposto a ogni stile e genere, dalla musica d’intrattenimento a quella dai connotati filosofici, dai vortici dei walzer ottocenteschi alla fredda percussività delle avanguardie, dalle dolcezze languorose dei fogli d’album ai ritmi propulsivi del ragtime, del boogie-woogie e del jazz. Ed appunto col mirabolante ingresso del jazz nella storia della musica, una ulteriore gioventù ha travolto l’antica creatura di Cristofori, che ora si pavoneggia tutta nuova e fiammante come se fosse stata inventata ieri mattina!

     

     

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    Luisa Forlano
    Luisa Forlano
    Luisa Camilla Forlano è nata a Boscomarengo, in provincia di Alessandria, e vive a Torino. Oltre all’amore per la Musica coltiva assiduamente quello per la Storia, in particolare per l’antichità classica, ma anche per i secoli a noi più vicini, quelli della rinascita della ragione. Ed è stato nel desiderio di far rivivere alcuni momenti storici cruciali che si è affacciata al mondo della narrativa: nel 2007 col suo primo romanzo “Un punto fra due eternità”, un inquietante amore ai tempi del Re Sole; e poi con “Come spie degli dèi” (2010), che conserva un aggancio ideale col precedente in quanto mette in scena le vicende dei lontani discendenti del protagonista del primo romanzo. In entrambe le narrazioni la scrupolosa ricostruzione storica costituisce il fil rouge da cui si dipanano appassionanti vicende umane, fra loro differenti, ma fortemente radicate nella realtà storica del momento.

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