Dante Alighieri (1265-1321) non aveva una conoscenza particolare del Piemonte, anche perché ai suoi tempi la regione era solo una propaggine della Lombardia e soprattutto perché il nome Piemonte sarebbe venuto in uso solo più tardi e comunque limitatamente all’area del Torinese. Ciò però non toglie che il sommo Poeta citi, nella sua Divina Commedia, alcuni luoghi e personaggi del Piemonte, tanto da far sospettare un suo soggiorno, per quanto fugace, nella terra subalpina.
Alcuni dantisti hanno infatti sostenuto che Dante si sia recato a Parigi tra il 1309 e il 1310, e in tal caso il suo passaggio in Piemonte sarebbe stato obbligato; si tratta di un’ipotesi suggestiva, ma ancora non confermata da prove certe.
Il primo luogo citato da Dante è il maestoso Monviso (Inf. XVI, 95):
Come quel fiume c’ ha proprio cammino
prima dal Monte Viso ’nver’ levante,
da la sinistra costa d’Apennino,
Il Monviso fa una fugace comparsa anche nel Paradiso, laddove Dante lo indica come sorgente del fiume Po (Par. VI, 51):
Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi
che di retro ad Annibale passaro
l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.
Vi è poi una citazione della città di Vercelli (Inf.,X XVIII, 75)
rimembriti di Pier da Medicina
se mai torni a veder lo dolce piano
che da Vercelli a Marcabò dichina,
Il dolce piano che si estende da Vercelli al castello di Marcabò (Ferrara) è la Pianura Padana.
Nella Divina Commedia fanno la loro comparsa anche alcuni personaggi protagonisti di quel tempo.
Il novarese Fra Dolcino (1250 c. – 1307) trova posto nell’ottavo cerchio, tra gli scimastici e i seminatori di discordia; l’arrivo di Fra Dolcino (che morirà nel 1307, e che dunque era ancora vivo nel momento dell’immaginario viaggio di Dante avvenuto nel 1300, anche se la Divina Commedia fu scritta tra il 1306/7 e il 1321) all’Inferno è preannunciato da Maometto (Inf. XXVIII, 55-60):
“Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedra’ il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve”.
Alessandria, Canavese e Monferrato sono citati (Purg. VII, 133-136) quando Dante tratta di Guglielmo VII marchese di Monferrato (1240 c.- 1292), che portò la sua signoria alla massima potenza. Catturato ad Alessandria, fu rinchiuso in una gabbia nelle carceri cittadine, dove morì il 6 febbraio 1292, dopo un anno e mezzo di prigionia:
Quel che più basso tra costor s’atterra,
guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
per cui e Alessandria e la sua guerra
fa pianger Monferrato e Canavese.
Dante dedicò anche un rapido accenno al cardinal Enrico da Susa (1210 – 1271 c.), canonista e glossatore, anche se non ne cita il luogo di nascita, ma lo definisce come l’Ostiense in quanto vescovo di Ostia e autore della Summa Hostiensis (Par. XII, 2-85):
Non per lo mondo, per cui mo s’affanna
di retro ad Ostïense e a Taddeo,
ma per amor de la verace manna
in picciol tempo gran dottor si feo.
Infine Casale Monferato (Par. XII, 124) è ricordata essendo la città natale di Ubertino da Casale (1259-1330 c.) predicatore e teologo dell’Ordine francescano che comparirà in seguito tra i personaggi del romanzo Il nome della rosa (1980) di Umberto Eco:
ma non fia da Casal né d’Acquasparta,
là onde vegnon tali a la scrittura,
ch’uno la fugge e altro la coarta.