Una delle forme musicali più note, se non la più nota in assoluto, è quella che definiamo “sinfonia”. Ma cos’è una sinfonia? Il termine significa semplicemente “suonare insieme” e venne usato nel ‘500 (e forse anche prima) per designare di preferenza brani strumentali e, a partire dal ‘600, gli intermezzi o il pezzo di apertura di un’opera o di una cantata (basti pensare alla celeberrima “sinfonia” dall’Orfeo di Monteverdi). Si era fatta implicita la differenziazione che faceva sì che quella musica non fosse cantata ma solo suonata.
Col tempo questi brani iniziali, in Francia chiamati “ouvertures”, assunsero un carattere sempre più vario, con andamento adagio-allegro-adagio (in Francia) oppure allegro-adagio-allegro (in Italia). Ma fu solo nella prima metà del ‘700 che si verificò la svolta verso un tipo di composizione del tutto a se stante formata da due movimenti a cui si aggiungeva un finale. A trovare il giusto equilibrio fu proprio il figlio di un francese e di un’italiana, Giovanni Battista Sammartini. Questo milanese, insegnante di Gluck e maestro di cappella in almeno dodici chiese della sua città, attorno alla metà del ‘700 concepì un nuovo genere musicale avente forma chiara e decisa, ritmi intensi e definiti, temi tributari dello “stile galante” ma strettamente associati alle tematiche dell’Illuminismo: si trattava della sinfonia, appunto, di cui scrisse circa una settantina di esemplari.
Quasi contemporaneamente, in area tedesca alcuni compositori elaboravano un genere che avvalendosi delle “trovate” di Sammartini accentuava il principio dinamico del bitematismo e aggiungeva in terza posizione un quarto movimento, il minuetto. Uno dei figli di J.S. Bach, Carl Philip Emanuel, si adoperò affinché il brano avesse proporzioni ampie e durata importante, mentre Johann Stamitz, a Mannheim, abile strumentatore e lui stesso valido strumentista, allargò l’orchestra includendovi tutti i tipi di strumenti,
A questo punto la “sinfonia” – così come oggi la conosciamo – era bell’e fatta. Con concepimento in Italia e parto in Germania, attendeva solo più le menti geniali degli Haydn, dei Mozart, dei Beethoven, che erano lì ad un passo, pronte ad agire.
Oggi quando noi andiamo in un Auditorium e ci sediamo comodamente in poltrona per ascoltare una sinfonia, diamo per scontata l’esistenza di un “direttore d’orchestra”. Ma non fu sempre così. Anche se la prassi esecutiva richiese sempre una figura facente funzione di direttore, erano i compositori stessi che si occupavano di concertare e dirigere le proprie creazioni. Ancora ai tempi del Re Sole, J.B. Lully fu vittima, si può dire, di un incidente sul lavoro: feritosi al piede col bastone appuntito che usava per dare il tempo, ne morì di setticemia. Ma con la complessità sempre maggiore delle orchestre, le compagini in perpetuo divenire, gli strumentisti sempre più numerosi, e l’indubbia difficoltà a tenere insieme il tutto, non bastava più la buona volontà del primo violino o del maestro al cembalo che per oltre un secolo avevano fatto da direttori d’ufficio. Soprattutto dopo Beethoven si capì che per eseguire opere di tanta portata e valore, opere presenti in contemporanea su un numero enorme di “piazze”, si doveva introdurre la figura di un musicista senza strumento che si occupasse soltanto di coordinare gli esecutori, che non leggesse più le “parti” ma la partitura completa, che accompagnasse il tutto con indicazioni verbali e gestuali.
Nacque così una nuova figura artistica, quella che ai nostri giorni brilla ancora di tanto lustro, e che risale a circa duecento anni fa.
Storicamente il merito d’essere stato il primo compositore a dirigere musica altrui spetta a Felix Mendelssohn, il primo direttore d’orchestra in senso moderno, che non solo diresse e concertò, ma anche formulò dei memorabili programmi di stagioni sinfoniche.
Dopo di lui l’intero ‘800 fu il vivaio di questa nuova professione ed intere generazione di musicisti vi si cimentarono con raggiungimenti spesso mitici. Nel campo dell’opera si crearono schiere di interpreti specializzati, mentre a livello della musica sinfonica (che già si cominciava a definire “classica”) grandi nomi dediti alla comprensione dei testi ed alla loro interpretazione divennero la pietra miliare di tutte le esecuzioni future. Erano direttori di sinfonie senz’essere sinfonisti, ma solo e genuinamente dediti alla direzione… tranne uno, che fu superbo in entrambe le specialità: Gustav Mahler. Di lui parleremo la prossima volta.