A Torino, presso la Biblioteca Reale, sono conservate alcune prestigiose e famose opere del genio ineguagliabile di Leonardo da Vinci: il suo famoso Autoritratto a sanguigna, il Ritratto di Fanciulla (studio per il volto dell’angelo nel quadro La Vergine delle Rocce, al Louvre) e il Codice sul volo degli uccelli (un quaderno cartaceo di 18 carte nel quale annotò le sue considerazioni sul volo).
Ma che rapporti ebbe Leonardo col Piemonte? Nell’ultimo decennio della sua vita, egli attraversò quattro volte le Alpi per recarsi in Francia e in Svizzera. Gli storici hanno molto argomentato per stabilire se durante questi viaggi sia passato in Piemonte e quali località possa aver visitato, ma le informazioni che si possono trarre dai suoi scritti, di cui si conservano ben 5000 pagine, sono minime e si prestano a varie interpretazioni che lasciano molti dubbi.
I pochi luoghi pedemontani citati da Leonardo sono:
Mombracco/Saluzzo/Monviso: Monbracho sopra saluzo, sopra la certosa un miglo, a pie di Monviso a una miniera di pietra faldata, la quale e biancha come marmo di carrara, sanza machule, che e della dureza del porfido obpiu, delle quali il compare mio maestro benedecto scultore a inpromeso donarmene una tabuletta x li colori. Adi 5 di genaro 1511 (Manuscrit G, foglio 1 v.).
Mombracco o Monbracco o Monte Bracco (1306 m slm) è un piccolo massiccio montuoso isolato dal resto delle Alpi Cozie che si protende verso la pianura cuneese; vi si accede da Barge. Tale comune è allo sbocco della Valle Po dominata dalla mole del Monviso.
Tra Barge ed Envie vi sono i resti della Certosa di Mombracco le cui origini risalgono alla metà del XIII secolo. Il monastero fu soppresso da Napoleone nel 1801.
Sul Mombracco e nei paesi circostanti vi sono tuttora delle cave dalle quali si ricavano lastre di pietra (lòse) per la copertura dei tetti. Pare però che Leonardo creda trattarsi di un solo minerale però pietra faldata è uno gneiss di colore grigiastro, mentre biancha come marmo di Carrara è una quarzite, che localmente era chiamata marmurina, proprio per la somiglianza esistente tra la varietà di colorazione bianca, al tempo estraibile più in superficie, e il marmo bianco.
Maestro Benedecto era lo scultore e architetto Benedetto Briosco (1460 ca – 1517 ca) amico di Leonardo che aveva fatto da testimone di battesimo a uno dei suoi figli. Fu l’autore del portale marmoreo della Certosa di Pavia e, al tempo, era al servizio del Marchese di Saluzzo. Benedetto fornì a Leonardo una tabuletta di quarzite che egli utilizzò poi come supporto per pestarvi le polveri dei pigmenti e mescolare i colori per la propria tavolozza.
Torino: Aggiunta alla frase precedente, vi è la postilla Perottino da’ turino na alcune [pietre] che ssono berettine forte dure (Manuscrit G, c. 1 r.).
Perottino era il nome di uno scalpellino, o di un negoziante di pietre, indicato con un diminutivo dialettale che lo definisce come lavoratore della pera, ossia della pietra.
Varallo Pombia/Ticino: A Veral di Ponbio presso a ssessto sopra Tesino sono li cedani bianchi grandi e dduri (Manuscrit G, c. 1 r.).
Il territorio di tale comune, situato a nord di Novara, è lambito dal fiume Ticino. Cedani potrebbe forse significare sedani.
Ivrea/Dora: Navilio d’Ivrea, facto dal fiume della Doira. Montagne d’Ivrea nella sua parte silvagia produce di verso tramontana (Codice Atlantico, foglio 211 v.).
Il Naviglio di Ivrea fu costruito come canale navigabile nel 1468 da Jolanda di Savoia, moglie del duca Amedeo IX di Savoia per collegare la città di Ivrea, dove preleva l’acqua dalla Dora Baltea, a quella di Vercelli , dove riversa le sue acque nella Sesia, e per irrigare le campagne del Vercellese. Per alcuni storici, sulla base del Codice Atlantico, il progetto è da attribuire proprio a Leonardo da Vinci.
Il quale sarebbe passato da Ivrea di ritorno dal suo viaggio in Francia nel 1515. Spintosi fino a Ginevra, attraverso il Vallese raggiunse poi il colle del Gran San Bernardo, attraversò la Valle d’Aosta raggiungendo infine Ivrea da dove proseguì fino a Roma.
Monterosa: E questo vedra come vid io chi andra sopra Monboso giogo dell’Alpi che dividono la Francia dalla Italia, la qual montagnia a la sua basa che parturisce li 4 fiumi che rigan per 4 aspetti contrari tutta l’Europa e nessuna montagnia a le sue base in simil altezza. Questa si leua in tanta altura che quasi passa tutti li nuvoli e rare volte vi cade neve, ma sol grandine d’istate quando li nuvoli sono nella maggiore altezza, e questa grandine vi si conserva in modo che se non fusse la reta del caderui e del montarui nuvoli che non accade 2 volte in una eta, egli ui sarebbe altissima quantita di diaccio inalzato dali gradi della grandine, il quale di mezzo luglio vi trouai grossissimo; e vidi l’aria sopra di me tenebrosa e ‘1 sole che percotea la montagnia essere piú luminoso quivi assai che nelle basse pianure, perché minor grossezza d’aria s’interpone infra la cima d’esso monte e ‘1 sole (Codice Leicester, c. 4 r.).
Gli studiosi identificano generalmente, pur tra molte discussioni e incertezze, il Monboso col Monte Rosa alle cui pendici si sarebbe fermato, e di cui scrisse, Leonardo nel 1516, mentre si recava, per stabilirvisi definitivamente, ad Amboise in Francia dove sarebbe morto nel castello di Cloux, tre anni dopo.
Alpi/Po: sono citati nel Codice Leicester, c. 10 r.
Alessandria: Alessandria della Paglia in Lombardia non a altre pietre da far calcina se non miste con infinite cose nate in mare, la quale oggi è remota dal mare piú di 200 miglia (Codice Leicester, c. 10 v.).
Al tempo di Leonardo, Alessandria era detta “lombarda” in quanto faceva parte del Ducato di Milano sotto gli Sforza. Era soprannominata della paglia perché i tetti delle sue abitazioni erano costruiti con fango e paglia. Tale affermazione è però contestata da chi sostiene che la denominazione derivi da un’incomprensione grafica. Negli scritti dall’imperatore Federico Barbarossa, che assediò invano la città tra l’ottobre del 1174 e l’aprile del 1175, uscendone sconfitto, Alessandria era infatti definita, con spregio, Alexandria de palea, cioè Alessandria della palude ma, errando nell’italianizzazione, palea fu tradotto con paglia.
Le infinite cose nate in mare sono residui di conchiglie che si trovano in molte località del Monferrato e dimostrano come, nelle passate ere geologiche, tali colline fossero zone sommerse dal mare.