Farhad Bitani, l’ultimo lenzuolo bianco

"precisazione su ciò che è stato pubblicato il 26 marzo 2018"

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I fatti raccontati durante l’incontro con Farhad Bitani sono drammatici e molto gravi, il suo racconto intenso e a tratti concitato ha coinvolto emotivamente anche i presenti. Ma non sono bastate le domande e gli interventi di chi desiderava capire cosa può spingere l’animo umano a tanto male ad evitare anche qualche incomprensione. Tanto erano complessi i fatti. A questo proposito, è doveroso fare una precisazione. Il motivo del trasferimento dello scrittore e di tutta la sua famiglia, in Italia, che è stato precedentemente indicato, non proprio correttamente nell’articolo apparso su Cose Nostre On line il 26 marzo scorso, trova giustificazione nel lavoro del Generale Bitani, suo padre, che nel 2004 dovette assumere un incarico come diplomatico in Italia, che proseguì fino al 2008. Il percorso personale di Farhad, il suo cambiamento conseguente a questa esperienza in Italia, ha avuto ripercussioni, come è ovvio, sul rapporto con il suo Paese. Diffidenza e sospetto gli sono costati quasi la vita, giacché è stato vittima di un attentato dal quale ne è uscito, gravemente ferito, ma miracolosamente vivo. Tuttora Farhad è considerato in patria un “infedele”. La storia di redenzione di questo giovane scrittore apre uno spiraglio di luce e di speranza per un futuro di pace e di integrazione tra i popoli. Soprattutto, per chi ci crede e per chi come Caselle ha voglia di vincere la paura del terrorismo e si chiede come essere d’aiuto nel difficile compito dell’integrazione. Un compito a cui tutti siamo chiamati nel nostro piccolo. Che non è solo il compito di un governo: terribilmente importante per tutta la nazione, visto che l’Italia, più di altri, è crocevia dello scenario migratorio di popoli in fuga dalla guerra.

Di seguito, quanto abbiamo pubblicato il 26 marzo u.s., dopo l’avvenuta presentazione casellese del libro di Bitani

Ha tenuto col fiato sospeso una platea intera incredula, raccontando di atroci delitti ed efferate violenze commesse sul popolo afgano. Si tratta di Farhad Bitani, l’autore del libro autobiografico dal titolo “L’ultimo lenzuolo bianco”, presentato recentemente a Caselle, e che tratta le memorie di un ex capitano dell’esercito, che ha combattuto contro i talebani. Suo padre è stato un generale fra più valorosi, che ha sconfitto il potere sovietico per difendere la Repubblica Democratica Afghana e ha combattuto i talebani a fianco dei mujaheddin. Farhad la guerra l’ha vissuta tutta, fin da bambino, ed è per questo che, quasi senza prender fiato, racconta non solo dell’uso della forza, ma parla di jihadismo e della sua propaganda, della ripetizione ossessiva del Corano, dello spettacolo delle esecuzioni pubbliche; di come le persone vengono private della propria capacità di giudicare e assumono come propria la mentalità talebana. Bitani, per la maggior parte della sua esistenza non ha conosciuto un altro modo di vivere. Senza tralasciare dettagli, racconta le origini di un fenomeno che nasconde, dietro al conflitto, gli intrighi di potere e le motivazioni economiche e commerciali. Dalla rottura dell’equilibrio USA e URSS, e la scelta di armare le fazioni di mujaheddin, da cui ne è risultata una guerra civile, agli anni trascorsi in un’omertà consenziente che ha contribuito a mantenere il controllo della politica del terrore e il proficuo commercio delle armi e dell’oppio.

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Il racconto della vita di Farhad prosegue in Italia, dove la famiglia si trasferisce nel 2004, per un incarico diplomatico assunto dal padre. Qui, Bitani porta avanti i suoi studi all’Accademia Militare di Modena, predestinato ad una strada già segnata. Completamente invasato dalle predicazioni fondamentaliste e a disagio in una società tanto diversa dalle sue convinzioni, vive scollato dal mondo esterno: “Avevo paura che la diversità fosse una minaccia alle mie certezze”, rivela in un passo del libro. Ma il cambiamento a questo punto è già in atto. In Italia incontra un’umanità che aveva conosciuto, prima d’ora, solo nell’amore di sua madre. Scopre una fratellanza, calda, accogliente, disinteressata. Inizia a studiare il Corano, per davvero: quello che gli era stato impartito era tutto una menzogna. Si avvicina finalmente al vero Islam, dove trova conforto e si allontana definitivamente dalle ideologie fondamentaliste. Oggi Bitani, combatte una nuova battaglia, per la libertà; senza le armi, ma impugnando la penna. Da qualche anno vive a Torino e si occupa di mediazione culturale in un progetto di accoglienza e informazione dei migranti. Ha scritto questo libro fiducioso di possedere gli strumenti per cambiare la situazione in Afghanistan.

Molti libri di memorialistica bellica e geopolitica e romanzi autobiografici di afghani che hanno vissuto la guerra sono stati scritti negli anni, ma è la prima volta che ci troviamo di fronte “un onesto, limpido, semplice e puro libro di viaggio”, così lo definisce Domenico Quirico, giornalista e inviato di guerra, che ha curato la prefazione al suo libro. Come ben si può immaginare, molte sono state le difficoltà a pubblicare questi scritti, così scomodi. Tuttavia, si è giunti alla sua seconda edizione e Farhad, grazie ad un passa parola, un tam tam di pace, sta divulgando la sua esperienza nelle scuole e dovunque sia invitato a tenere conferenze. Portando a conoscenza la sua realtà, si prefigge di trasmettere i valori positivi di non violenza e dignità dell’individuo. Domenico Quirico, lo colloca in una nuova era; una nuova generazione di uomini preoccupati di restituire alla vita il suo vero scopo.

 
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