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martedì, Marzo 19, 2024

    Aldo Moro, quarant’anni dopo

    16 marzo – 9 maggio 1978. 55 giorni, una delle pagine più buie e misteriose tra le tante, troppe, della storia italiana del dopoguerra.
    Ovviamente stiamo parlando del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana.
    La mattina del 16 marzo, l’auto su cui viaggiava Moro fu bloccata in via Fani a Roma da un nucleo delle Brigate Rosse. Un’azione fulminea con armi automatiche: in breve tempo vennero uccisi i cinque uomini della scorta del leader politico, che venne sequestrato.
    Dopo 55 giorni di prigionia, durante il quale Moro venne “processato” da un tribunale politico e venne offerta la sua liberazione in cambio della scarcerazione di alcuni terroristi in prigione (con lo Stato, ed in primis buona parte del suo partito, sempre contrario a qualsiasi trattativa con i terroristi) il suo cadavere venne fatto ritrovare, il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 in via Caetani, a poca distanza sia dalla sede del Partito Comunista, sia da quella della Democrazia Cristiana.
    In mezzo le mille polemiche sul chi (fosse davvero stato), sul perché (si fosse fatto), sul dove (fosse stato davvero tenuto)… Tante le polemiche ed i dubbi che continuano ancora oggi, a 40 anni di distanza: uno dei tanti misteri italiani appunto… Ciò che appariva certo all’epoca, poco alla volta è diventato incerto.
    Sicuramente, il caso Moro ha segnato indelebilmente la nostra storia: con il suo assassinio si chiuse definitivamente la stagione del compromesso storico e con esso i governi cosiddetti “di solidarietà nazionale”.
    In quegli anni ’70, PCI e DC erano due colossi (anche come percentuali di voti: nelle elezioni politiche del ’76 la DC raggiunse il 38,71%, il PCI il 34,37%, con percentuali di votanti decisamente più alte di oggi), Moro e Berlinguer due giganti politici: la loro eventuale alleanza (con l’entrata dei comunisti in un possibile governo) faceva paura, troppa paura, in ambito NATO.
    Con la sua morte, la DC rallentò progressivamente il dialogo instaurato con il “nemico storico” PCI, fino a tornare alla “normalità”, ossia ad una Democrazia Cristiana alleata con vari partitini, ed i comunisti all’opposizione…
    Ma davvero alle Brigate Rosse davano così fastidio i possibili, probabili, governi di solidarietà nazionale con il PCI traditore ed imborghesito, tirato dentro? Sicuramente sì, ma sembra estremamente improbabile che la responsabilità sia tutta loro.
    Tutto sembra molto meno lineare e molto più complesso: un cortocircuito della democrazia, come spesso accadde in quegli anni in un’Italia a sovranità limitata. Moro ha accusato alcuni suoi colleghi di partito di scarsa limpidezza (per non dire peggio), per non parlare di servizi segreti deviati ed infedeli (non una novità), di contatti e presenze della malavita organizzata nel caso (‘ndrangheta si mormora da sempre, anche con confessioni di pentiti ritenuti affidabili).
    Pare che le Brigate Rosse siano state usate e strumentalizzate come perfetti “utili idioti”. Quello che è certo è che Moro dava fastidio a molti, troppi. Troppi gli interessi che la sua politica, e quella parallela di Berlinguer, andavano a toccare e minacciare: morto lui, chiuso il problema.
    Dopo quarant’anni, cinque processi e sette commissioni parlamentari d’inchiesta non sono bastati a portare chiarezza nel caso: ma com’è che la cosa non sorprende? A rimetterci l’Italia, cui è stata sottratta una persona di grossa levatura politica e morale che, assieme a Berlinguer, avrebbe potuto scrivere pagine di storia assai diversa da quella che è venuta successivamente e che stiamo scontando tutt’oggi: saremo mai un Paese “normale”?

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