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martedì, Ottobre 15, 2024

    Teste vuote

    VenticinqueGocceGiorni fa, meditavo su quali fossero i lavori, le professioni pericolose che causano traumi e giorni all’ospedale: nello sport, spesso si accendono risse da bar, e in linea di massima i contrasti fanno parte del gioco; lo stesso per il rugby, nel football americano, certo lì sono corazzati con elmetti, paraspalle, insomma si proteggono; nella pallanuoto, dove il pubblico non vede ma anche lì se le passano di santa ragione. E poi ovviamente la boxe.

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    Ma in ognuna di queste discipline, si combatte ad armi pari: è il lavoro, la professione che ti impone certi compromessi. Ad armi pari.

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    Ovviamente nessuno dei contendenti rimane impassibile quando il gioco si fa duro.

    Nel Belpaese, solo una categoria di lavoratori è destinata unicamente a prenderle, senza potersi difendere: gli insegnanti.

    Gli ultimi avvenimenti: a Palermo un professore ipovedente viene pestato e mandato all’ospedale reo d’aver ripreso un’alunna. I genitori di quest’ultima hanno pensato bene di aggredirlo e procurargli un’emorragia cerebrale.
    A Torino stessa cosa e stesso finale: ancora i genitori dell’alunno che picchiano il professore permessosi di rimproverare il pargolo per un ritardo. Con questa azione i genitori hanno dimostrato che il ritardo lo hanno loro, ovviamente mentale.  
    Nel pisano un diciassettenne ha puntato una pistola giocattolo alla testa di un professore ed ha poi impedito alla collega di quest’ultimo di denunciare il fatto al preside.
    A Lucca un giovanotto un po’ esuberante urla al professore di mettergli un misero sei  altrimenti si incazza, e gli intima pure di mettersi in ginocchio, mentre la classe se la rideva e riprendendo il tutto.

    Ora… uno che filma il proprio reato, e lo mette online, è sicuramente un cerebroleso, da mettere insieme ai genitori di cui sopra, quindi minorato. Minorato, non minorenne. Ma non basta: a Velletri uno “studente” (le virgolette sono d’obbligo), minaccia di sciogliere una professoressa nell’acido. Forse per lui Giovanni Brusca (u verru) rappresenta un esempio da seguire, chissà!
    E a Treviso l’ennesimo caso di pestaggio da parte di genitori malati di mente; la differenza è che l’alunno non ha subito conseguenze mentre il malcapitato professore ha avuto un provvedimento disciplinare. Danno e beffa!

    I mass media li definiscono atti di bullismo: il professore è stato “bullizzato”, il compagno disabile è stato anch’egli “bullizzato”… personalmente odio questo stupido termine. I bulli non esistono, il bullismo non esiste: esistono imbecilli che vanno fermati, puniti, rieducati; ovviamente nei limiti del possibile. Educare vuol dire prendere provvedimenti decisi, capire certo, ma non lasciar passare come acqua fresca episodi di violenza nei confronti di altre persone. Attaccarsi alla scusa dell’età, alle colpe della società, (per muovere poi ogni genere di specialista, assistenti sociali, psicologi), può servire fino ad un certo punto: la certezza dell’impunibilità è devastante su certe menti fertili.

    Caso vuole che a prendere calci ed insulti siano già gli insegnanti alle elementari, minacciati dalla certezza che una reazione istintiva li porterebbe dritti davanti ad un tribunale; un conto sono i ragazzini con evidenti problemi fisici o psicologici, altro è la mancanza totale di educazione, l’assenza della famiglia, che delega completamente l’educazione dei propri figli ad altri.

    Trovo spesso ridicole le cosiddette giornate contro la violenza: ci si muove, ci si mobilita e poi gli stessi educatori, i docenti, subiscono ogni vessazione immaginabile. 
    In questo caso, la scuola prende in giro se stessa, fallisce una parte importante della formazione.

    La scuola educa tra molte difficoltà e tanta burocrazia, invischiata tra mille impedimenti.  
    Viviamo un tempo in cui prevale la mentalità da videogame: tanto succede niente. 
    A farla da padrone sono alcuni individui con relativa prole, privi di qualsivoglia senso sociale, che comprendono unicamente il linguaggio delle mani, e questo “sapere” lo hanno inculcato ai figli, che trovano naturale rapportarsi agli insegnanti in questo modo e a questi ultimi viene tolta autorevolezza e dignità. Come possono educare?

    Con le mani. Con le mani fai tutto.

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    Luciano Simonetti
    Luciano Simonetti
    Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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