Siamo in Europa, nell’ottobre 2018, eppure i giornalisti continuano a morire perché fanno il loro dovere: informazione, inchieste, critiche…

Giusto un anno fa, 16 ottobre 2017, moriva Daphne Caruana Galizia, 53 anni, lo scrivemmo in questa piccola rubrica, a Malta, saltando in aria nella propria auto a due passi da casa. Daphne era una giornalista d’inchiesta e stava indagando su episodi di corruzione e riciclaggio in cui sarebbero coinvolti esponenti politici di maggioranza e minoranza. Ad un anno di distanza ci sarebbero, per la giustizia maltese, gli esecutori materiali (due fratelli, George e Alfred Degiorgio, insieme a Vincent Muscat), ma non i mandanti. I famigliari chiedono a gran voce un’inchiesta indipendente.

Tornando ai giorni recenti, il 6 ottobre scorso è stata uccisa, dopo essere stata brutalmente stuprata, Viktoria Marinova, 30 anni, giornalista indipendente bulgara. Uccisa in un parco della cittadina di Ruse, la giornalista d’inchiesta stava indagando su presunti casi di corruzione del governo e di utilizzo improprio di fondi dell’Unione Europea.
Dopo l’arresto, in prima battuta, di un cittadino moldavo, poi rilasciato, è stato successivamente arrestato, ad Amburgo, un cittadino bulgaro, Severin Krasimirov. Le autorità giudiziarie bulgare puntano quindi ora su di un’aggressione a sfondo sessuale, con l’arrestato che avrebbe problemi psichici, tralasciando la pista legata al lavoro di Viktoria.

Considerando l’omicidio di Ján Kuciak, reporter slovacco ventottenne assassinato brutalmente (nel febbraio di quest’anno) in casa insieme alla fidanzata, sarebbe il terzo caso di giornalisti uccisi, nel giro di un anno, per indagini su corruzione, riciclaggio ed uso improprio di fondi europei.
Ma il caso che sta destando più scalpore in queste settimane, ammesso che si possa fare una “classifica” di questo tipo, è quello della sparizione del giornalista saudita Jamal Kashoggi.

Sessantenne, si era autoesiliato negli Stati Uniti, l’anno scorso, per timore di essere arrestato a seguito di alcuni articoli fortemente critici nei confronti del principe Mohammed bin Salman. Collaboratore del Washington Post, il 2 ottobre è entrato nel Consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, per richiedere dei documenti necessari per il matrimonio con la sua fidanzata turca. Da quell’edificio però non è più uscito, a differenza di ciò che, in prima battuta, affermano le autorità saudite. A confermare l’ipotesi investigativa turca sono i filmati di sicurezza ed, anche, si saprà in seguito, registrazioni audio che fanno pensare ad un vero e proprio sequestro organizzato dai servizi sauditi.
Kashoggi sarebbe stato interrogato, picchiato, torturato ed, infine, ucciso (volontariamente o no, poco importa) e fatto poi sparire. Certo che suona grottesca la veemenza con cui il presidente Erdogan chiede giustizia e verità per il povero giornalista saudita, mentre sono diversi i giornalisti turchi che marciscono nelle sue prigioni per poco più di nulla…
Per non parlare del caso del giornalista, di origine turca ma cittadino tedesco, Deniz Yucel, collaboratore della testata Die Welt, accusato di terrorismo, incarcerato e rilasciato solo dopo le pressioni del governo tedesco.
Ora, proprio in queste ore (16 ottobre), sembra che la magistratura turca abbia ottenuto le prove dell’omicidio di Kashoggi, avvenuto proprio all’interno del Consolato saudita, a seguito di un interrogatorio “sfuggito” di mano.
Povera Europa, nel 2018 i giornalisti continuano a morire solo perché fanno il loro lavoro.