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    Maternità e innocenza

    Una gran quantità di tele, pale d’altare ed affreschi mostrano varianti del rapporto madre-figlio, archetipica manifestazione della natura vivente. A tale relazione si rifanno le numerose Madonne del Latte, tra cui due esempi possono essere citati: il trittico presente nella chiesa di San Bartolomeo a Trino Vercellese realizzato da Gerolamo Giovenone ed il Polittico dei calzolai, dipinto da Martino Spanzotti e Defendente Ferrari, esposto nel Duomo di Torino. Il tema dell’allattamento compare anche in tempi recenti: Giovanni Battista Carpanetto rappresenta madre e figlio come fossero un unico organismo (Maternità, 1912), mentre Felice Casorati ritrae Le sorelle Pontorno (1937) in una scena collettiva interamente femminile, tradotta pure nell’olio Prigioniere (1952) e finanche con tratti di malinconia ne I gemelli (1940).

    Quasi tutti gli artisti hanno raffigurato i bambini, sia come soggetti isolati sia all’interno della dimensione sociale, impegnati nelle attività familiari, ludiche, scolastiche oppure immersi nell’ambiente naturale. Tra Ottocento e Novecento, a Torino, città ancora intensamente sabauda e fedele alla tradizione, numerosi pittori si formano all’Accademia Albertina, ove insegnano Andrea Gastaldi e Giacomo Grosso. Demetrio Cosola, autore chivassese allievo di Gastaldi, fissa sulla tela istruzione e società ne Il dettato (1891) e ne La vaccinazione (1894). Il moncalierese Tommaso Juglaris (noto per aver decorato a Lansing la cupola del Parlamento dello Stato del Michigan) dipinge invece personaggi in età infantile nel fregio presso la villa Barnes a Syracuse (New York) e putti nella casa Jernigan a Boston (1885). L’artista realizza poi gli oli Bambina sul prato (1921) e Scolaretto.

    Legato al tema della scuola, Andrea che legge è opera di Cesare Ferro Milone (1880-1934), che caratterizza con la tenerezza tanto L’ora del bagno (1921) quanto I primi passi (1923), ma un’apparente mestizia traspare dallo sguardo della moglie Andreina in Maternità (1921), La mamma e Checco (1928) e La famiglia (1930). Giacomo Grosso ritrae giovanissimi soggetti quali la Contessina Baratieri (1912), Bambina con Ermellino (1911), oppure la figurazione di un imberbe Gesù (Il Pater Noster, 1934). Il celebre Maestro realizza inoltre il famoso olio La cella delle pazze (1884), espressione di un disagio claustrale evocato pure dallo scultore Pietro Canonica in Istinto materno (1894), ove l’autore «traduce nella materia il sogno di una maternità idealizzata, per cui il serto di fiori incisivamente modellato assume il significato della verginità». Grosso accetta altresì, per la prima volta, una ragazza a frequentare l’Accademia: è Evangelina Alciati, che intorno agli anni 1920-30 dipinge Nudino, ritratto di una bambina intenta nella lettura. Un altro allievo di Grosso, Venanzio Zolla, raffigura la figlia Eda Doris (1915), evidenziando la sfera sociale ne Il coro di Lanzo (1961).

    MIRADIO, La scodella rossa
    – olio su tela, 1930

    Discepolo sia di Ferro sia di Grosso, Miradio Pasquali riesce a riunire ne La scodella rossa (1930) le influenze dei due Maestri, oltre alla lezione di Felice Casorati, come sottolinea Aldo Spinardi. Compagno di bevute di Miradio al Caffè Nazionale, distrutto dalle bombe nel 1943 e ricostruito, Massimo Quaglino infine inserisce alcuni pargoli nel clima gioioso di un Matrimonio di paese (1934), sebbene ammanti di pensosità il Ritratto del figlio (1943). I rimandi ad autori e ad opere potrebbero non finire; una delle meraviglie dell’arte è, infatti, potersi muovere fra zone di confine che si spostano continuamente, scoprire similitudini e differenze, costruire nessi mentre s’inseguono variabili e variazioni, sotto la guida di una costante curiosità, un occhio indagatore ed un interminabile stupore fanciullesco.

    Novembre 2018

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