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mercoledì, Dicembre 4, 2024

    Grazie di esistere, dottor Bartolo !

    Pillole1WebSi stenta a credere, che in questo clima, di disgustosi fatti di cronaca, di violenza sulle donne e sui bambini, di aggressioni alle insegnanti e ai medici, di disprezzo dei beni pubblici, di odio razziale e istigazione allo stesso, ci siano persone “controcorrente”, che si dedicano al soccorso, in tutte le forme possibili, dei più deboli, dei più disperati.
    C’è un medico che si è assolutamente meritato numerose onorificenze, da due Presidenti della Repubblica; un vero signore, che nel suo agire non si è limitato al ruolo professionale, ma è andato ben oltre.

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    Ho avuto il piacere di conoscerlo recentemente, per aver assistito ad una sua conferenza, in cui ha incantato un pubblico numeroso, partecipe e sensibile al racconto – a tratti impressionante – del recupero, del soccorso medico e della cura dei migranti nel Mediterraneo. Una persona molto modesta ma nello stesso tempo un gigante, che non si vergogna delle sue paure, delle sue debolezze, che ci ha trafitto con i suoi racconti, elencando diverse tragedie di persone incontrate, mai di numeri.
    E ha ripetuto più volte, in 90 minuti senza pausa, che occorre proteggere le persone non le frontiere. Perché lui è proprio un medico di frontiera.
    Si chiama Pietro Bartolo, dal 1991 è responsabile del poliambulatorio dell’isola di Lampedusa. Lui è nato in quell’isola, figlio di pescatori, l’attività più comune fra i residenti. L’isola, si sa, è al centro del Mediterraneo, in posizione strategica per qualunque tipo di traffico; ma ultimamente è nota a tutti per il traffico di esseri umani.
    Lui racconta e soffre, mentre rivive le immagini di tutti gli uomini, le donne e i bambini che ha visto ripescare dall’acqua in questi anni, un carosello di volti senza vita che ha dovuto raccogliere e sezionare, per provare a dare loro un’identità, un nome e un cognome, o quantomeno un numero di cartella clinica, attribuendo le relative cause e ove possibile un’ora del decesso. Le immagini e l’odore dei cadaveri non gli va via dal cervello neppure dopo anni.
    Ma i bambini, soprattutto loro, sono la causa dei suoi incubi. Quando in assenza di strumenti fece partorire una donna, e legò il cordone ombelicale del neonato con la sua stringa delle scarpe, o quando piangendo mise nella stessa cassa la madre e il figlio partorito nella traversata.
    Ci ha raccontato un curioso episodio, del 2016, quando la Procura dette l’ordine di prelevare dai cadaveri campioni di epifisi femorale per l’esame del DNA. Molti non sanno quanto sia duro il femore, sudava, stava male, non riusciva a inciderlo. Non molto distante un muratore stava tagliando piastrelle con un flex, alla sua richiesta non ebbe difficoltà a prestarlo. Alla fine tutto sporco e stremato dopo aveva immagazzinato una quantità tale di sensazioni atroci, si avviò alla restituzione dell’attrezzo. Ma il muratore gli disse che glielo regalava, che né avrebbe comprato uno nuovo.

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    All’inizio dell’ondata emigratoria gli sbarchi si susseguivano con cadenza quasi regolare, ma poi ci sono stati numerosi momenti di alta tensione dove il numero dei vivi da soccorrere e delle ispezioni cadaveriche erano eccessive e le forze disponibili sempre le stesse.
    Ora, o meglio, da quando sono entrati in vigore gli accordi tra Italia e Libia per contenere il flusso, le emergenze ovviamente si sono ridotte. Il dottor Bartolo non ha avuto alcun dubbio nel dire che chi ha fatto questi accordi si dovrebbe vergognare. Hanno spostato il problema, soltanto più a sud, senza risolverlo, per certi aspetti persino peggiorandolo.
    Quegli accordi sono soltanto un modo per l’Italia e per l’Europa di scaricarsi le responsabilità circa un fenomeno che va oltre la capacità politica dei governanti, qualcosa che ha a che vedere con gli uomini, la loro evoluzione, la loro storia; sono un atto di viltà e spregiudicatezza senza uguali.
    E’ impossibile frenare la voglia di libertà e di migliorare la propria condizione di sicurezza per se e per i propri figli. Lampedusa ovviamente è solo una tappa, di un viaggio iniziato mesi, forse anni prima, attraversando deserti e montagne, subendo ricatti, maltrattamenti e violenze di ogni tipo.

    L’isola è una specie di carcere e cielo aperto, al posto delle sbarre c’è il mare. La permanenza sull’isola non è semplice per loro.
    Arrivano convinti di stare qualche ora, al massimo qualche giorno, ma spesso la burocrazia li blocca per diversi mesi. Qualcuno non riesce a resistere, in attesa di trasferimento a Palermo per poi sparire nell’immensa Europa, in cerca di una casa, di una vita dignitosa, e decide di farla finita. E ci racconta di Alì, un giovane che non aveva ancora compiuto trent’anni. Erano 2 mesi che era sull’isola, ha deciso di risolvere il suo problema in modo definitivo legando uno spago a una trave. Un altro sacco di plastica, un altro rospo da ingoiare, un’altra relazione da stilare e mandare a qualche Procura. La storia non ha fine. Grazie di esistere, dottor Bartolo.

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    Ernesto Scalco
    Ernesto Scalco
    Sono nato a Caselle Torinese, il 14/08/1945. Sposato con Ida Brachet, 2 figli, 2 nipoti. Titolo di studio: Perito industriale, conseguito pr. Ist. A. Avogadro di Torino Come attività lavorativa principale per 36 anni ho svolto Analisi del processo industriale, in diverse aziende elettro- meccaniche. Dal 1980, responsabile del suddetto servizio in aziende diverse. Dal '98 pensionato. Interessi: ambiente, pace e solidarietà, diritti umani Volontariato: Dal 1990, attivista in Amnesty International; dal 2017 responsabile del gruppo locale A.I. per Ciriè e Comuni To. nord. Dal 1993, propone a "Cose nostre" la pubblicazione di articoli su temi di carattere ambientale, sociale, culturale. Dal 1997 al 2013, organizzatore e gestore dell'accoglienza temporanea di altrettanti gruppi di bimbi di "Chernobyl". Dal 2001 attivista in Emergency, sezione di Torino, membro del gruppo che si reca, su richiesta, nelle scuole.

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