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venerdì, Aprile 19, 2024

    Non si può tornare indietro

    La storia di Ilaria Pivi

     
    La storia di Ilaria Pivi è fatta di coraggio e perseveranza, alla ricerca di se stessa e della propria Itaca, come ben esprimono i versi del poeta Kavafis:” Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile di avventure ed esperienze. Raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio, fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada…
    “Ho 33 anni, -racconta Ilaria- la mia famiglia, da parte materna, è di Caselle: i miei nonni, Lino e Margherita, per lunghi anni, hanno prodotto e confezionato, i famosi torcetti, mia sorella vive lì con le sue due meravigliose bambine. Io invece sono cresciuta a Cirié dove sono rimasta fino al 2006 quando, a 21 anni, sono partita per Berlino, per l’Erasmus. Nonostante vivessi in un piccolo appartamento, adoravo il luogo ciriacese in cui abitavo, soprattutto la finestra della mia stanza che dava sulla via centrale e da cui potevo vedere le Alpi. Avevo amicizie solide e, nonostante l’insicurezza e l’aria di crisi che si respirava, mai avrei pensato che la vita mi avrebbe portato così lontano. L’esperienza a Berlino è stata determinante: imparare un nuova lingua, essere del tutto indipendente, re-inventarmi, vivere di notte e di giorno in totale autonomia. 
    Una svolta decisiva, un “es gibt kein zurueck, there is no going back, non si può tornare indietro!” Il ritorno a Caselle, dove i miei genitori si erano trasferiti quando io ero in Germania, è stato molto duro. Ero cambiata profondamente, tutto mi andava “stretto”: ritornare a vivere in famiglia, perdere le amicizie fatte a Berlino, trovarmi senza lavoro con moltissimi esami da dare, il famoso reverse culture-shock e molto altro.
    Dopo il liceo linguistico a Lanzo, mi sono laureata in Comunicazione Interculturale, specializzandomi in inglese e tedesco. Una volta ottenuta la laurea mi sono posta la domanda di tutti: che fare? Ho partecipato al “progetto Leonardo” della Regione Lombardia e sono partita per l’Inghilterra per svolgere un tirocinio.
    Altra esperienza formativa indimenticabile che non fece che confermare ciò che già sapevo ovvero che volevo parlare ogni giorno le lingue che stavo imparando e conoscere posti e persone nuove. In Inghilterra feci domanda per  partecipare ad un “master” a Bruxelles ma all’ultimo minuto il corso che avevo scelto venne cancellato per cui ne scelsi un altro come ripiego. Bruxelles fu una tappa di passaggio, ci restai poco sia perché avevo pochi soldi per studiare sia perché pensavo che il Belgio non fosse il posto  più adatto per me. Parlando con il mio partner, che avrebbe dovuto raggiungermi, decidemmo di cambiare rotta e di partire per l’Australia, dove lui aveva degli amici. 
    L’esperienza a Sydney fu molto meno idilliaca del previsto, nulla a che fare con un viaggio studio o con un tirocinio prestabilito con un’agenzia di supporto. A dire il vero, non tutto fu negativo: alla fine del mio anno a Sydney lasciai il paese anche con  dei bei ricordi, tant’é che se non rimasi in Australia fu perché il mio permesso di lavoro non poteva essere rinnovato.
    La decisione di partire per il Canada la presi proprio a Sydney. Volevo continuare a studiare ma le tasse universitarie australiane erano fuori dalla mia portata, così feci domanda per un master in Gender Studies (Studi di Genere) al Memorial University, Saint John’s Terranova. Passò un anno da quando presentai domanda a quando mi trasferii e, in questo arco di tempo, mi trasferii a Barcellona, dove rimasi per tre mesi e feci anche ritorno a Caselle per motivi di lavoro. Finalmente riuscii a partire ad agosto 2012. 
    Nonostante avessi letto molto su St. John’s e sul Canada in generale, non ero preparata a quello che mi attendeva: dovevo trovare casa, mantenere un’ottima media all’Università perché la mia borsa di studio dipendeva dai miei voti e i nostri permessi di soggiorno dipendevano dal buon esito dei miei esami. Il mio master riguardava lo studio del Gender nell’ambito della mobilità internazionale. Come sempre ci volle un periodo di adattamento: non ero abituata a vivere su un’isola grande due volte il Regno Unito, con una popolazione di mezzo milione scarso di persone ed un clima atlantico e subartico.
    Gli anni che seguirono furono anni di formazione personale e professionale, in cui mi resi conto che stavo decidendo dove costruirmi la mia vita.
    Terminati gli studi, mi sono trasferita con Tommy, ad Halifax, Nova Scotia, dove abitiamo ancora oggi. Ovviamente ci sono stati alti e bassi e situazioni che hanno fatto vacillare le nostre decisioni. A volte ci si intrappola nei ricordi e si idealizzano momenti che appartengono al passato; talvolta la nostalgia o i sensi di colpa prendono il sopravvento e allora si parte per tornare.
    Nel 2016 ci siamo trasferiti in Svizzera per stare più vicino alle nostre famiglie, ma ci siamo presto resi conto che ci mancava ‘casa’, la “nostra” casa, perché rappresentava ciò che, con fatica, avevamo costruito insieme dal momento in cui eravamo partiti con un paio di valigie e un permesso di soggiorno  temporaneo. C’era solo un modo per essere davvero felici: vivere le nostre vite senza rimorsi, respirare la vita a pieni polmoni ed essere grati per le opportunità che avevamo avute.
    Forse, il più bel ricordo che ho prima della mio ritorno definitivo in Canada, è stato quello di mia nonna Margherita che salutando me e Tommy, sull’uscio di casa, ci ha detto in dialetto: ‘Io la mia vita l’ho fatta, voi siete giovani e dovete farvi la vostra’. Quell’ultima benedizione fu davvero un  dono perché non la vidi più. Morì quando io ero ad Halifax. E’qualcosa da mettere in conto quando ci si trasferisce: si perdono nascite, compleanni e funerali. 
    Oggi ho una vita meravigliosa,  ricca di affetto e calore. Ora, lavoro per la Saint Mary’s University al “The Language Centre”, mi occupo di accogliere studenti internazionali e facilitare la loro integrazione universitaria. Spero in futuro di poter lavorare maggiormente sulle tematiche riguardanti la giustizia sociale o sul “genere”.
    Sono fortunata a vivere ad Halifax: abito in pieno centro, a 300 metri da una spiaggia che dà sull’oceano e a 10 minuti in bicicletta da Point Pleasant Park, un’oasi di natura meravigliosa. Amo i nostri parchi, i laghi,  gli spazi aperti e  le coste. Adoro il nostro vento, che d’inverno toglie il fiato, mentre d’estate dona una piacevole freschezza così come il profumo degli alberi misto all’aria salmastra e il silenzio che segue una tempesta di neve. La mia più profonda gratitudine va ai nostri amici e alle nostre amiche per l’aiuto che ci hanno dato ad integrarci e a farci sentire a casa.
     
    “La mia casa, il mio cuore, mai chiusi: che passino gli uccelli, gli amici, l’amore e l’aria”   (Marios Ana)

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