Come già fatto notare tempo fa, la programmazione del Teatro Regio di quest’anno si impernia tutta quanta su opere di repertorio, titoli ultranoti e ultrafamiliari. Ma siccome ogni regola ha la sua eccezione, in questo caso, invece che l’inserimento di un’opera del periodo barocco (come si faceva da un po’, ed era molto gradita), si è pensato di proporre un titolo derivato dal neoclassicismo dei Cherubini e degli Spontini: l’“Agnese” del compositore Ferdinando Paër.
Confesso di sapere dell’esistenza di questo nome solo per una concomitanza curiosa: si dà il caso, infatti, che Paër sia l’autore dell’opera “Leonora, o l’amore coniugale” sullo stesso soggetto della “Leonora” di Beethoven (che poi diventerà “Fidelio”): opere coeve, quella di Paër debuttò a Dresda nell’ottobre 1804, mentre quella di Beethoven andò in scena a Vienna nel novembre 1805. Entrambi i libretti derivavano da un precedente dramma (1798) di Nicolas Bouilly. Ero interessata a capire quale dei due avesse avuto per primo l’idea di mettere in musica quel soggetto. È certo che il librettista Sonnleithner che scrisse il testo per il genio di Bonn si sia basato sul testo di Paër, ma è improbabile che Beethoven abbia mai visionato la partitura. Come che sia, il misterioso dettaglio che unisce i due compositori aiuta Paër ad uscire dalla fitta coltre di nebbia da cui è avvolto.
Questo Carneade, chi era? Nacque nel 1771 a Parma, perciò era italianissimo, anche se di discendenza tedesca; la sua educazione musicale fu dapprima seguita dal padre, cornista nell’orchestra del Teatro Ducale, e poi perfezionata al Conservatorio di Napoli. Gustò i primi successi giovanissimo, ancora adolescente, e li confermò via via in una carriera brillante e ricca di soddisfazioni. Oltre che nella sua Parma, fu maestro di cappella in molte grandi città, dove si acclamava la sua vena e il suo stile, frutto di grande facilità e felicità inventiva. Molto fecondo ma mai sciatto, sapeva come prendere il pubblico e il pubblico lo sosteneva. A Vienna divenne addirittura Kappellmeister del Teatro di Porta Carinzia. Chiamato poi al Teatro di Dresda, dove, fra l’altro, andò in scena la famosa “Leonora” di cui si è detto, fu lì che si verificò la grande svolta della sua vita: Napoleone lo ascoltò nel suo “Achille” e gli piacque talmente da nominarlo seduta stante “compositore di Sua Maestà Imperiale” con cospicua retribuzione. A Parigi fu anche chiamato a succedere a Spontini nella direzione del Théâtre-Italien; carica che, con un vero miracolo di diplomazia, Paër riuscì a conservare anche dopo la Restaurazione: come dire che seppe mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa.
La sua notorietà era al culmine. Ma ormai l’assalto del “nuovo” costituito da Rossini, Bellini, Donizetti era alle porte. Mutando i gusti, il suo prestigio però non venne meno e non perse mai l’apprezzamento e la considerazione di personaggi del calibro di Berlioz e Chopin. Tanto era stimato, che nel 1835 gli fu chiesto di tenere l’orazione funebre alle pubbliche esequie di Vincenzo Bellini.
Quanto ad “Agnese”, mentre nel 1809 era a Parma in visita alla madre, fu spinto, con l’aiuto del librettista Buonavoglia, ad occuparsi di questa storia di amor filiale derivata dal romanzo “The Father and Daughter” di Amelia Opie (1801), una specie di anticipo del “Bianca e Fernando” di Bellini. A Parma riuscì a realizzare solo un’esecuzione di tipo amatoriale, ma quando trasferì l’opera al Teatro di Dresda essa ottenne un successo vivissimo e sincero. Da quel momento “Agnese” girò per tutti i teatri, riscuotendo consensi e tenendo sempre cartello per non meno di cinquanta sere. E questo capitò non solo al Teatro alla Scala, dove il trionfo fu mitico, o a Parigi, dove si può dire che Paër giocasse in casa, ma in tutt’Europa, Londra, Berlino, Mosca, San Pietroburgo, nonchè Santiago del Cile, Città di Messico… Finchè all’improvviso, verso la metà degli anni ’20 dell’Ottocento, l’opera uscì inesplicabilmente dal repertorio, e non ci tornò più.
Questa è la storia dell’ “oggetto misterioso” che ci viene proposto dal Teatro Regio. E ce n’è abbastanza per suscitare la nostra curiosità. Lo stile di Paër, più che al tragico, tendeva al semiserio con qualche puntata sul comico o sul larmoyante, e possedeva la capacità di descrivere gli affetti, di renderli fruibili al vasto pubblico, a metà strada tra la commozione e il divertimento. A un eccellente controllo nell’uso delle voci univa un’orchestra ricca e sapiente, una base di impianto assolutamente di alto livello. Tutto questo può solo renderci desiderosi di tornare ad ascoltarlo. Dobbiamo al maestro Diego Fasolis, che dirigerà l’opera al Regio, il prezioso ripescaggio: “Agnese” è una vetta del repertorio semiserio, ha assicurato; e a noi non resta che aprire bene le orecchie e ascoltare.