Mi piace pensare che il 1° ottobre 1787, quando partì per Praga dove avrebbe messo in scena il suo “Don Giovanni”, Mozart si sia abbandonato sui sedili della carrozza con un sospiro di sollievo. Alle spalle si lasciava un periodo particolarmente gravoso, non solo perché la sua posizione a Vienna cominciava a farsi più instabile (le sue “Nozze di Figaro” erano state accolte con un successo solo mediamente buono, l’empatia col pubblico viennese si avviava ad allentarsi e lui se n’era accorto), ma anche perché quel 1787 gli aveva recato solo lutti e dispiaceri, il trasloco in una casa periferica a causa degli introiti diminuiti, la morte di un paio di amici carissimi, la perdita dell’ultimo figlioletto, e poi, a maggio, il dolore più grave, la morte del padre Leopoldo. Ora, a Praga, lui e la moglie Costanza avrebbero potuto riprendersi da tanti dispiaceri, concedendosi, in un ambiente nuovo, lontani dai guai viennesi, una specie di luna di miele.
Perché a Praga? Perché la città aveva fama d’essere una sua “fan”. In particolare l’ultima opera, “Le Nozze di Figaro”, era stata accolta con incredibile entusiasmo. Non solo nei salotti, ma anche per strada, dove i garzoni dei fornai canticchiavano le varie arie, con predilezione per il “farfallone amoroso”, tutta la città risuonava di sue note. L’impresario praghese Bondini, quindi, si affrettò a commissionargli un’opera nuova, col compenso di 100 ducati (450 fiorini o “gulden”), una cifra ragguardevole, e Mozart, consultato Lorenzo da Ponte, aveva scelto una rivisitazione del mito di Don Giovanni (soggetto non certo nuovo, già altri vi si erano cimentati senza peraltro emergere in modo particolare), e si era buttato a capofitto. Chiunque abbia visto sulle scene questo “dramma giocoso” sa che si tratta di due atti piuttosto lunghi, che richiedono grande impegno compositivo per dare sostanza e credibilità ai molti personaggi, nessuno di loro essendo secondario, pur in presenza di un “mattatore” come Don Giovanni. Mozart aveva cominciato a scrivere a rotta di collo fin da maggio, ma era stato spesso interrotto da altri impegni, per cui sembra che giungesse a Praga con l’opera ancora ben lungi dall’essere finita. In realtà, se si guarda il manoscritto, esso non tradisce alcuna fretta, rivela se mai la mano veloce di chi scrive note che escono dalla mente più rapide di quanto non possa fissarle la penna. In proposito c’è l’aneddoto dell’ouverture, quella fatale ouverture che inizia citando il tragico finale, scritta, pare, la notte prima della rappresentazione, mentre Costanza preparava dei ponce per tenerlo sveglio… Come che fosse, bene o male, iniziarono le prove: al Nationaltheater giunse anche da Ponte in funzione di regista, la compagnia di canto si trovò molto affiatata, l’orchestra fece miracoli, ed alla prima, nel teatro strapieno, si dice che fosse presente persino Giacomo Casanova (venuto a Praga da Dux, dove viveva presso il conte Waldstein), uno spunto molto stimolante, anche se probabilmente di fantasia.
Quello di Don Giovanni è un mito che ha una lunga e illustre schiera di creatori, Tirso da Molina, Molière, Goldoni… Il genio di Mozart vi si accodò per creargli l’identità finale, quella che lo conferma come emblema universale ed eterno. Per ottenerlo la personalità grandiosa del “dissoluto”, il suo tragico destino, non dovevano essere contaminati da alcunché di ridicolo, e da Ponte fu abilissimo nel trovare la giusta alternanza fra momenti leggeri e altri di maggiore nerbo e sostanza. Nel breve spazio di ventiquattr’ore – il suo ultimo giorno – succede di tutto, duelli conquiste beffe e annientamento. La componente comica ha risalto soprattutto in Leporello, la “brutta copia” del padrone, di cui sa solo vantare le conquiste (2.065 fino a quel momento!), ma incapace di intendere la forza vitale dell’eroe votato alla perdizione, e spaventato dal sovrannaturale in modo banalmente borghese. Nessuno più di Mozart avrebbe potuto descrivere in musica questi estremi con una penna leggera ed insieme profondissima.
“Una creazione intellettuale unitaria, scaturita d’un sol getto” asserì Goethe, evocando poi “lo spirito demoniaco del genio da cui egli era posseduto”. Se quella sera i praghesi seppero intuire tutto questo non lo sappiamo; certo il successo fu sensazionale ed immediato: “La mia opera andò in scena il 29 ottobre col più strepitoso successo” scrisse l’autore raggiante di gioia “Vorrei che i miei amici fossero qui per partecipare alla mia contentezza!” E sulla Gazzetta Praghese si legge: “Intenditori e musicisti affermano concordemente che a Praga non si era mai eseguito nulla di simile, diresse il signor Mozart in persona, salutato quando apparve in orchestra da un triplice evviva!”
Questo triplice evviva possiamo ora noi stessi regalarlo al Maestro Riccardo Muti, che nel corso del mese di novembre si appresta a dirigere l’opera al Teatro Regio. Un momento da non perdere!
Lo spirito demoniaco del genio di Mozart
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