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giovedì, Marzo 28, 2024

    Quanto può costare la libertà d’informazione

    Tutt’oggi, al mondo, ci sono diversi regimi dispotici, che gestiscono Paesi in cui la libertà d’informazione da molto fastidio. La categoria dei giornalisti è molto a rischio, non solo in questi o in aree di conflitto armato, ma anche in situazioni ove i governi si dicono democratici. Può esistere un limite per la libertà di stampa e d’informazione in un Paese democratico? In un caso, molto noto, gli USA hanno ampiamente dimostrato che esiste. In una cella di una famigerata prigione di massima sicurezza, del Regno Unito, un uomo lotta contro alcune delle più potenti istituzioni della terra, che da oltre un decennio lo vogliono distruggere moralmente e fisicamente. Queste istituzioni sono principalmente: la CIA (Central Intelligence Agency), il Pentagono e la NSA (National Security Agency). Non è un segreto che l’influenza di queste istituzioni si senta in ogni angolo del pianeta: loro decidono guerre, colpi di stato, influenzano elezioni e governi. Quell’uomo si chiama Julian Assange, non è assolutamente un criminale, è il giornalista che ha fondato WikiLeaks. Si tratta di un’organizzazione che ha cambiato il modo di fare informazione, sfruttando le risorse della rete. Lui e i suoi collaboratori hanno violando segreti di Stato, usati non per proteggere la sicurezza e l’incolumità dei cittadini, ma per nascondere crimini, e garantire l’impunità a chi li ha progettati, diretti ed eseguiti. Quell’uomo non poteva farla franca, doveva essere punito e soprattutto doveva essere fermato. Da oltre 10 anni ha perso la sua libertà, prima ai domiciliari in una piccola stanza dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, e poi in galera. Qual è la sua colpa? Quella di aver fatto conoscere al mondo migliaia di documenti riservati, tra cui alcuni file del Pentagono, relativi a crimini di guerra compiuti dai militari americani in Iraq e in Afghanistan, altri ancora relativi alle torture a spese dei detenuti della famigerata prigione di Guantanamo e degli “inquilini” di diverse prigioni segrete americane sparse nel mondo. Se estradato negli Usa, il fondatore di Wikileaks potrebbe essere condannato, secondo l’Espionage Act, una legge del 1929, a 175 anni di carcere, sulla base di 18 imputazioni penali. Con lui rischiano tutti i giornalisti della sua organizzazione. L’obiettivo è distruggerli e farlo in modo plateale, affinché nessun altro ci riprovi. Nessun governo in realtà ama Assange e la sua creatura; anche quelli meno colpiti dalle loro pubblicazioni li temono, perché prima o poi lo stesso metodo potrebbe attecchire nei loro Paesi, e far emergere tanti segreti. Eppure se esiste un giornalismo che merita di essere praticato è proprio quello che rivela gli abusi del livello più alto del potere. Non esiste libertà di stampa se i giornalisti non sono liberi di scoprire e denunciare la criminalità di Stato senza essere ammazzati o finire i loro giorni in galera. Purtroppo, nel giugno scorso, il governo inglese ha approvato l’estradizione di Assange negli USA. Amnesty International si è mobilitata per bloccare l’estradizione e far cadere le accuse. Una forte posizione è stata presa anche dall’ordine dei giornalisti che ha conferito la tessera onoraria ad Assange. “Questa decisione pone Assange in grande pericolo e invia un messaggio agghiacciante ai giornalisti in ogni parte del mondo”, ha dichiarato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International. “Assange correrà il grande rischio di essere posto in isolamento prolungato, in violazione del divieto di maltrattamenti e torture. Le assicurazioni diplomatiche fornite dagli Usa, secondo le quali Assange non sarà tenuto in isolamento, non possono essere prese sul serio, dati i precedenti. Chiediamo al Regno Unito di non estradare Assange e agli Usa di annullare le accuse affinché Assange sia liberato”, ha concluso Callamard. Amnesty International ha raccolto firme in tutto il mondo, a favore della sua liberazione e i suoi volontari hanno manifestato più volte in numerose piazze. Vogliamo vivere in una società in cui il potere segreto risponde alla legge per le sue atrocità; dove ad andare in galera siano i criminali di guerra, non chi ha la coscienza e il coraggio di denunciarli e i giornalisti che né rivelano la criminalità. Oggi una società così autenticamente democratica non esiste. Purtroppo.

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    Ernesto Scalco
    Ernesto Scalco
    Sono nato a Caselle Torinese, il 14/08/1945. Sposato con Ida Brachet, 2 figli, 2 nipoti. Titolo di studio: Perito industriale, conseguito pr. Ist. A. Avogadro di Torino Come attività lavorativa principale per 36 anni ho svolto Analisi del processo industriale, in diverse aziende elettro- meccaniche. Dal 1980, responsabile del suddetto servizio in aziende diverse. Dal '98 pensionato. Interessi: ambiente, pace e solidarietà, diritti umani Volontariato: Dal 1990, attivista in Amnesty International; dal 2017 responsabile del gruppo locale A.I. per Ciriè e Comuni To. nord. Dal 1993, propone a "Cose nostre" la pubblicazione di articoli su temi di carattere ambientale, sociale, culturale. Dal 1997 al 2013, organizzatore e gestore dell'accoglienza temporanea di altrettanti gruppi di bimbi di "Chernobyl". Dal 2001 attivista in Emergency, sezione di Torino, membro del gruppo che si reca, su richiesta, nelle scuole.

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