Gli ambasciatori (un po’ negletti) del Nebbiolo

L’Alto Piemonte

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Abbiamo gettato il sasso nello stagno il mese precedente e adesso cerchiamo di catturare l’ultimo cerchio concentrico che ha increspato (forse) lo specchio d’acqua delle nostre certezze enoiche più comuni, vale a dire quello di considerare sbrigativamente il nebbiolo piemontese come il cavaliere senza macchia e senza paura delle Langhe, la scritta “Barolo” ben incisa sull’elsa dello spadone e quella “Barbaresco” che campeggia sullo scudo.
Ebbene, ricordiamo a noi stessi in primis e subito dopo ai bevitori più distratti che esistono ben dieci denominazioni radunate nel “Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte” la cui missione è valorizzare e difendere le specificità dell’uva nebbiolo che fin dal 1300 dava vita (pardon, vite) a un nettare ben conosciuto e apprezzato, prodotto tra le attuali province di Novara – cinque i comuni del Boca Doc, manifestazione enologica del territorio di cui abbiamo appunto scritto nell’ultimo numero di questo giornale – Biella, Vercelli e Verbanio-Cusio-Ossola. Amato già dal Conte di Cavour Camillo Benso, il vino nato e prodotto in questi territori è probabilmente destinato a diventare il nuovo ambasciatore del Piemonte vitivinicolo, troppo spesso confinato – culturalmente e mediaticamente – alla pur monumentale trinità di Langhe-Roero-Monferrato.
Gli ettari attuali sono circa 630, un’inezia se paragonati ai quasi 40mila del XVIII secolo, ma la dedizione e la passione dei produttori coinvolti nella rinascita di questa denominazione spingono l’Alto Piemonte a un fatturato odierno che sfiora i 10 mln di euro e a un +15% di export stimato nei prossimi sei anni, cifre tutt’altro che da sottovalutare data la mappa geografica: nella provincia di Novara i comuni di Boca, Cavallirio, Grignasco, Maggiora e Prato Sesia danno vita a 4 Doc – Boca, Colline Novaresi, Fara e Sizzano (la denominazione più piccola) – e a una Docg, quella del Ghemme. Le provincie di Biella e Vercelli significano soprattutto Bramaterra Doc, prodotto a Brusnengo, Curino, Masserano, Sostegno e Villa del Bosco nel biellese, a Lozzolo e Roasio nel vercellese. Entrambe comprendono anche la denominazione Coste della Sesia; Biella aggiunge il Lessona Doc, Vercelli ospita la seconda e ultima Docg del territorio dopo Ghemme, ovvero Gattinara, il cui nome associato indissolubilmente alla saga aziendale ormai planetaria di Travaglini (assieme alla celebre bottiglia storta) lo esclude dall’esoterismo che per il momento connota tutti gli altri. Infine la Doc Valli Ossolane della provincia Verbanio-Cusio-Ossola, dove 18 comuni producono un Nebbiolo Alto Piemonte la cui gradazione può partire da un minimo di 11 gradi e invecchiare almeno 13 mesi di cui sei in contenitori di legno. Pur nelle rispettive differenze areali, il terreno dell’Alto Piemonte su cui trovano linfa le vigne di nebbiolo (e Uva Rara, Vespolina e Croatina, vale a dire le uve paradigmatiche dell’Oltrepò pavese che però vini più diversi non potrebbe ricavare) sono accomunate dall’abbraccio del supervulcano scoperto attorno al 2010, la cui esplosione avvenuta circa 300 milioni di anni fa ha infuso l’intera zona di una spettacolare ricchezza geologica: nel biellese prevalgono mineralità spiccate di ferro, potassio e magnesio,  nel novarese il terreno si fa più argilloso e tufaceo ma sorprendentemente ricco di acidità, il vercellese è caratterizzato da porfidi e terre rosse ricche di depositi marini, le Valli ossolane esibiscono la potenza granitica figlia delle loro origini moreniche.
Del Boca Doc abbiamo raccontato, prendiamo ora ad esempio una delle denominazioni più scalpitanti: Bramaterra. Prodotto nella zona collinare limitrofa al parco naturale delle Baragge e protetta dal Monte Rosa, il suo disciplinare consente da un minimo del 50% fino al 70-80% di nebbiolo, che qui è chiamato localmente anche Spanna, e un massimo del 30% di Croatina e/o Uva Rara e Vespolina, percentuale che scende al 20% se vinificate ciascuna in solitudine o congiuntamente. La zona è quella forse più stratificata e diversificata: le colline assolate per molte ore unitamente alla presenza di porfidi ocra-bruno e dei già citati depositi marini restituiscono una gamma di vini solidi, materici, citati la prima volta già in una pergamena del 1447 e molto apprezzati dalla curia vercellese, elemento questo che gli valse anche la definizione di “vino dei canonici”. Sono dieci i produttori del consorzio Alto Piemonte che si cimentano con il Bramaterra: Antoniotti e Tenute Sella sono tra quelli più conosciuti ma è forse la Cantina Gilodi quella che può vantare la primazia sul riconoscimento della Doc. Scomparso nel 2014, Umberto Gilodi – discendente del capostipite Gilberto – ha lasciato l’azienda alla figlia che trasferì l’attività nel viterbese. La produzione oggi è cessata ma l’azienda conserva ancora delle storiche annate della vigna Monolo acquistabili on line: al momento in cui scriviamo, resta disponibile solo l’annata 1997. Il Bramaterra Riserva della Tenuta Monolo, ottenuto da “mosto fiore”, è invecchiato in botti di rovere e lungamente affinato in bottiglie con sugheri lunghi e compatti. Il vino è uscito dalle cantine dell’antica Cascina Monolo solo per rarissime degustazioni e, benché sconosciuto ai più, rappresenta per molti aspetti la Storia della Doc Bramaterra, La prima produzione ufficiale della Tenuta Monolo risale al 1982; da allora ogni annata prodotta sino al 2005 si fregia della menzione “Riserva”. Una rarità che vale la pena di …bramare.

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