Il gran carosello delle stagioni

Inverni più simili ad una primavera e primavere più simili ad un inverno

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Global warming concept image showing the effects of dry land on the changing environment of trees. The concept of climate change. Environmental concept and global warming, big trees live and die.
Il Nuovo Serrasanta

È ormai da qualche anno che manca, da questo giornale, la rubrica del meteo. E ce ne sarebbe bisogno, visto il cambiamento climatico in atto, con le tante sorprese, per lo più spiacevoli, che ci riserva. Abbiamo supplito per questo numero con un articolo tratto dalla rubrica Meteo & Co. di un giornale amico. Il giornale si chiama Il nuovo Serrasanta: è un mensile, come il nostro; arriva da una cittadina umbra, Gualdo Tadino, di dimensioni analoghe alla nostra Caselle. Un giornale anche lui nato in ambito proloco, col nome di L’Eco del Serrasanta, e chiuso, per dissidi interni, nel 2006. Giornale poi ripartito, l’anno dopo, a gennaio 2007, con la nuova denominazione, e che col numero di gennaio 2024 ha iniziato il diciottesimo anno di pubblicazioni. Fra i rifondatori del nuovo Serrasanta, l’attuale direttore Riccardo Serroni, e Pierluigi Gioia, Rettore dell’Accademia dei Romiti, l’aps che è attuale editore del giornale. Ringraziamo entrambi per il permesso di ripresa di questo articolo.

Il gran carosello delle stagioni 

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di Pierluigi Gioia

Pierluigi Gioia

L’estate di Natale: l’evoluzione del clima, ormai, ci regala questo, con inverno che tende ad arrivare solo a marzo. Ecco quello che il gran calderone dei cambiamenti cli­matici, dentro il quale si sta rimescolando l’intero clima globale, sta sfornando per le nostre zone. Al momento di scrivere quest’ar­ticolo, a dicembre, eravamo sotto l’influenza di un mostruoso anticiclone delle Azzorre posizionato – in maniera assolutamente anomala – sull’Europa centrale. L’enorme cupola di alta pressione, che esercita un’azione di compressione dell’atmo­sfera dall’alto provoca il surriscaldamento dell’atmosfera alle alte quote, ci sta regalando uno zero termico fino a 3500-3600 metri sulle zone alpine occidentali, a 3200 metri sul Centro, 2400 sulla Sicilia e solo 2100 sull’entroterra tunisino, dove fa meno caldo che in Italia, ma anche Svizzera, Germania e Francia. Sulle Alpi, dunque, il manto nevoso è in rapidissimo scioglimento, il pericolo di slavine a fondo scala e i distacchi di masse nevose, ma anche di frane e smottamenti – dovuti alle notevoli quantità di acque di fusione che precipitano a valle – sono all’ordine del giorno. Là dove, sino a soli pochi giorni fa, cadeva normalmente la neve, ora si sta in maniche di camicia e la neve fugge persino dalle cime appenniniche, dove le temperature stanno toccando valori assolutamente fuori stagione.
Insomma, la crisi climatica ci ha davvero defraudati non solo di un bianco Natale, ma ci ha consegnato un nuovo periodo climatico, divenuto ormai consueto, che potremmo definire “l’estate di Na­tale”, con dominio di anticicloni sub-tropicali sul centro Europa, temperature molto miti, se non addirittura calde, in collina e mon­tagna, per metà mese di dicembre e tutto il mese di gennaio – e tal­volta persino quello di febbraio – con successivo ritorno del freddo invernale a marzo ed aprile, le cui temperature risultano molto al di sotto della norma.
Un freddo che, non c’è bisogno di dirlo, giunge su una vegetazione già fiorita da fine dicembre, provocando danni enormi all’agricol­tura. La Coldiretti, nel 2023, denuncia cali cospicui in molti prodotti agricoli, alcuni dei quali, come le ciliegie, praticamente azzerati o poco ci manca e, per gli altri, perdite fra il 15 e il 30%: grano, orzo, farro, frutta in generale ma persino latte, visto che le mucche sof­frono anche per l’eccessivo caldo, si disidratano e producono meno latte. Insomma, fra freddo fuori stagione, caldo fuori stagione ed ondate eccessive di calura estiva, la situazione del comparto agri­colo è drammatica. Anche nelle nostre zone, come molti imprendi­tori agricoli mi hanno rivelato, non si riesce più a sbarcare il luna­rio, perché le condizioni climatiche sono sempre più imprevedibili: un anno è la siccità, un altro è la pioggia eccessiva in primavera, un altro sono le gelate primaverili, un altro ancora i freddi troppo precoci o gli inverni troppo caldi, che aprono le porte al trionfo dei parassiti. Il risultato è spesso il medesimo: produzione in crisi.
Almeno per questa fase della crisi climatica, la tendenza sembra essere questa e l’agricoltura potrebbe non essere l’unico settore a risentire dell’imprevedibilità delle condizioni meteorologiche. Se, qualche mese or sono, certi imprenditori turistici della costiera veneta e romagnola, di fronte a prenotazioni che si prolungavano fino al periodo di Natale, esprimevano con un po’ di miopia la loro soddisfazione per i cambiamenti climatici, pronosticando un pro­lungamento del turismo balneare alla stagione invernale, ora la maggior parte delle persone si rende conto come il riscaldamento globale sarà tutt’altro che positivo, perché comporterà tali disastri ambientali e tali alterazioni del territorio da rendere la possibilità di mantenere aperti d’inverno gli alberghi della costiera adriatica – fino a pochi anni fa, zona climaticamente piuttosto fredda d’in­verno – un vantaggio davvero misero rispetto alle enormi perdite economiche ed umane inflitte dall’estremizzazione dei fenomeni, dalla diminuzione della disponibilità delle risorse ambientali – fra cui quella di acqua dolce potabile – e dall’imminente necessità di ripensare ex novo la distribuzione demografica in base alle altera­zioni ambientali inferte da un clima fuori controllo.

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