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sabato, Luglio 27, 2024

    Cesare Villata, un artista libero

    Era il 23 maggio 2004, esattamente venti anni fa, quando una cocciuta e tenace malattia ha sconfitto mio padre: Cesare Villata. In questo anniversario non lo voglio celebrare in quanto tale, ma voglio ricordare la sua figura di artista, di pittore e del suo profondo legame con Caselle, con l’Associazione “La Forgia” e con il mensile “Cose Nostre”. Mi sono sempre domandata se avesse adottato Caselle con il bellissimo gruppo della Forgia o se siano stati questi amici a adottarlo circa cinquant’anni fa.
    Mio padre era una persona schiva e riservata, un conservatore, il classico gentiluomo bogianen. Bene lo ha descritto il compianto e grandissimo Domenico Musci (intellettuale, artista, persona di grande valore) nelle pagine di “Cose Nostre”: “Cesare Villata è stato un artista libero e svincolato dalle convenienze […] un artista senza regole che con grande preparazione poteva dipingere fantastiche ed enormi battaglie navali di gusto settecentesco, […] antichi ex voto, o affrontare la difficile tecnica dell’affresco sia in interni che esterni, oppure restaurare con perizia quadri antichi di grande pregio, con una professionalità sempre più difficile da incontrare. Libertà di fare dovuta alla grande competenza ed esperienza”. Da perfetto bogianen non ha partecipato o fatto molte mostre, non è mai stato colpito dalla frenesia dell’esporre, però molte sue opere ornano le pareti dei suoi amici casellesi e altre sono finite in collezioni private a Milano, Roma e New York.
    Una delle prime esposizioni la fece a Caselle, ovviamente spronato dai suoi amici e risale al 1976, allestita nei locali della Forgia, quando la sede era ancora in via Torino 42: fu un vero successo di critica e di pubblico. E il suo amico Domenico Musci scriveva su “Cose Nostre”, con la sensibilità che lo caratterizzava: “Pittore eclettico, i suoi temi, sempre umili tanto da rischiare di essere visti con occhio superficiale, possono essere diversi di volta in volta, ma hanno un unico filo conduttore identificabile nel rapporto personale con il soggetto, non cose in genere, ma le “sue”: così saranno carpe pescate personalmente, funghi porcini raccolti da lui nei boschi, chiodini, o “famigliole” scovate nei ceppi, per cui il colore di origine ha una estrema importanza […]. Il termine “natura morta” ha un equivalente così reale e non figurato; i soggetti come quelli citati non sono belli naturalmente, sono perlopiù funghi contorti, disfatti, quasi al limite del marcio; ci sono le mele cotogne bitorzolute e bacate, le zinie sfiorite e cadenti; per questo motivo profondo, soggetti lontanissimi dall’essere semplicemente decorativi o accademici. È la ribellione di chi ha subito nella vita e nell’arte la non sottovalutabile violenza del bello facciale ma vuoto, dell’eccelso, del sublime ma frigido; c’è qui invece il coraggio di dipingere il brutto, il contorto, il marcio e farlo diventare pregevole attraverso l’operazione pittorica dove la poetica e la serenità hanno il sopravvento, dove la natura sfiorisce, non muore più, ma continua nel ricordo […] i soggetti non hanno limiti di spazio, hanno varcato il reale”.
    Scrivere dell’arte di mio padre non è facile: credo che le sue espressioni pittoriche, in particolar modo le nature morte, siano metafisiche e che trascendano dall’essere materico dell’oggetto; le pennellate talvolta rapide e violente, talvolta lievi e dolcissime, l’uso del colore comunque sempre limpido (come i suoi occhi) hanno sublimato il “normale”.
    Cesare Villata è stato anche un restauratore sensibile, sempre attento e rispettoso del bagaglio storico del manufatto: suoi gli interventi in alcuni edifici sacri a Caselle e nell’Astigiano.

    I soliti grandi amici casellesi nel marzo 1992 lo convincono a esporre ancora alla Forgia (la sede è in via Roma 2); il settimanale astigiano “La Nuova Provincia” scriveva “l’arte di Villata, minuziosa e raffinata, riesce ad esprimere l’amore e la delicatezza con cui l’artista vede le piccole cose, come fiori, erbe, frutti e soggetti ritenuti comuni”.
    Ciao Cesare!

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