La natura morta in pittura veniva considerata, prima del diciassettesimo secolo, un genere “minore”, giacché le rappresentazioni di oggetti inanimati nei dipinti fungevano solamente da complemento alla figura umana. Nel Seicento, l’oggetto assunse il ruolo di protagonista, mentre questo tipo di figurazione ottenne sempre maggior successo nelle Fiandre, in Olanda, in Spagna ed in Francia. Il genere della natura morta secentesca, che cristallizza quotidiane visioni, si può intendere persino come “soglia nodale della modernità” (Alberto Veca); raffinate nature morte si possono ammirare per esempio alla Galleria Sabauda di Torino nella collezione di quel personaggio eccezionale, in politica come nella cultura, che fu il principe Eugenio di Savoia – Soissons, oppure si trovano spesso in esposizione, a fianco di soggetti floreali, alla Galleria torinese Luigi Caretto (via Maria Vittoria 10), specializzata in arte fiamminga ed olandese.

La Pinacoteca dell’Accademia Carrara di Bergamo accoglie con la sua imponenza classicheggiante il visitatore, che fino al 4 settembre potrà osservare, nell’anno in cui cade il quarto centenario della nascita di Evaristo Baschenis (Bergamo, 1617–1677), sei opere dell’artista, discendente da una stirpe di pittori che affrescarono le chiese bergamasche per oltre duecento anni; “Natura morta di cucina” (1660 circa) e “Ragazzo con canestra di pane e dolciumi” (1650–1660), opere esposte a fianco di quattro dipinti appartenenti alla Carrara, provengono da collezioni private. Baschenis è considerato l’inventore di un genere che originò la “maniera bergamasca” (M. Rosci): Bartolomeo Bettera ed il figlio Bonaventura infatti, come altri imitatori e seguaci di Baschenis, si dedicarono dapprima a replicare i quadri dell’autore, quindi realizzarono opere proprie “alla maniera” dell’artista, seppur non prediligendo il rigore spaziale del Maestro (il quale, probabilmente, si serviva di “scatole prospettiche”).

Evaristo Baschenis Strumenti musicali e tendone rosso Olio su tela 1670 circa

I soggetti preferiti da Baschenis consistevano nel piano di lavoro della cucina – su cui erano posati alcuni prodotti della gastronomia locale quali cacciagione, cibi semilavorati oppure cotti – e da quello del tavolo, ingombro di strumenti musicali. Risulta infatti che il pittore, oltre ad essere chierico, fosse appassionato di musica; le rappresentazioni richiamerebbero dunque la provvidenza divina ed il lavoro dell’uomo, apportatori entrambi di abbondanza. L’artista lasciò un’ottantina di opere, tra cui poche rappresentazioni di figure umane.

La tecnica pittorica di Baschenis si divide tra l’analitica descrittività degli oggetti e la pennellata allusiva e corposa destinata agli animali ormai privi di vita. Il plasticismo della trama dei broccati, l’attenzione a raffigurare lo strato di polvere sugli strumenti ed il realismo dedicato alle imperfezioni della frutta, testimoniano la grande abilità del pittore, che Roberto Longhi definì un “Vermeer sacrificatosi in provincia”.

Nei quadri domina un’atmosfera silente, sobria, quasi malinconica, impreziosita dalla precisione geometrica e dall’amore per il dettaglio. Si tratta di una pittura “di così profonda intimità, di così alto lirismo, di così viva, respirante, contenuta bellezza, realistica e contemplativa” da evocare un “ordine perfetto, irrevocabile, senza errore” (Giuseppe Delogu). I soggetti dei dipinti si situano altresì in uno spazio senza tempo, immersi in un’atmosfera che appare costantemente attuale al moderno osservatore.

 

 

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