Una delle rubriche più fortunate di Cose Nostre è sicuramente quella contraddistinta dall’hashtag Caselle2020 che, contrariamente a quanto pensa qualcuno – la rubrica, dico -, non è uno strumento per tirare volate a chicchessia, o perché sia strumento essa stessa di chissà quali progetti o prezzolate mangiatoie: semplicemente vuole mettere in relazione i Casellesi con la realtà che verrà e con quelle che già ci corrono sul capo senza che ancora ce ne siamo ben resi conto. Punto.
Sì, perché di una cosa mi persuado sempre di più: molti di noi, anche per incompletezza di informazioni che le parti avrebbero dovuto dettarci, mica sono coscienti di che cosa avverrà davvero nel 2020.
Paolo Ribaldone, chiudendo un paragrafo d’un suo articolo, che troverete in questo numero a pagina 16, ci ricorda: “(…) i futuri frequentatori del Caselle Village. Piaccia o non piaccia, dal 2020 ci saranno anche loro.”
Lo scetticismo che fin dall’inizio accompagna ciò che verrà realizzato sulle ormai arcinote aree ATA continua a farla da padrone tra le credenze vulgate, ma tant’è: prima o poi dovremo fare i conti con un’altra entità. Che potrebbe essere spiazzante più e quanto dell’aeroporto, col quale da sempre conviviamo da separati in una casa di nostra proprietà, ma che tutto sembra tranne che nostra.
Quindi, siamo giunti ad un bivio, e non ci restano che due strade obbligate da percorrere.
La prima, potrebbe essere definita “dello struzzo”: restiamo fermi, facciamo finta di niente, ché tanto non succederà nulla e seguitiamo a vivere in un perverso triangolo: noi, lo scalo aeroportuale e il Village, mettendo in conto però che saremo l’entità più disomogenea delle tre, col rischio di scoprirci intrusi in casa nostra.
La seconda via prevede un percorso legato ad una grande presa di coscienza, che parta da tre banalissime ma fondamentali domande che dobbiamo assolutamente porci: chi siamo; da dove veniamo; dove vogliamo arrivare. Il percorso non deve prevedere una contrapposizione armata e diffidente tra “noi”, nativi o di conserva, e “loro”. Evitando sicuramente di perpetuare ciò che già ci tocca con l’aeroporto: avete notato come per noi casellesi sia sempre più difficile arrivarci? Come far capire che a casa nostra gli estranei siamo noi.
Occorre da subito caricarci la vita sulle spalle e provare ad osare a pensare la Caselle della seconda metà di questo secolo, senza paura di apparire inopportuni.
Certo, ci vorranno progetti a breve, medio e lungo termine. I primi dovranno prevedere di rivitalizzare il tessuto sociale ed urbano, mediante la salvaguardia del patrimonio storico e la creazione di nuove proposte legate ad appuntamenti, che facciano viaggiare il nostro nome in modo che venga identificato come un luogo vitale e propositivo. Il mondo straordinariamente ricco del nostro volontariato potrebbe fungere da utile vettore.
In un secondo tempo, coi soldi che sicuramente arriveranno dal Village, si potrà pensare a dar corpo ad una progettualità che però va concepita ora: il recupero non becero del centro storico e la valorizzazione delle aree più periferiche, mediante interventi che esaltino ciò che continuiamo a tenere nascosto. Un caso come la deprecabile distruzione del complesso “Motu” non dovrà mai più avvenire. Riscoprire il porfido negli assi principali della città dopo averlo letteralmente buttato alle ortiche dietro al cimitero all’inizio degli Anni 80 fa solo aumentare, si scusi il latinismo, l’incazzatura.