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sabato, Luglio 27, 2024

    Una storia vera per ricordare e riflettere

    Nel "Giorno della Memoria" la figlia, nostra concittadina, ce l'ha regalata

     

    Quanto troverete è dedicato a tutti i diciottenni di oggi, che hanno la fortuna di poter costruire il proprio futuro, affinché possano fermarsi un secondo a meditare.

    Questa è la storia di un diciottenne, nato a San Germano Vercellese nel 1925. Vera. Il suo nome è Franco Gallina ed è il primo di tre figli. Il padre non c’è più, perciò Franco ha assunto sulle sue spalle il ruolo di capofamiglia e da quattro anni lavora a Torino in una fonderia. Purtroppo per lui è il 1943.

    L’artista tedesco Gunter Demnig col figlio di Franco Gallina

    L’8 settembre è appena passato ed è nata la Repubblica di Salò, che arruola tutti i diciottenni per rimpolpare l’esercito del Duce. Franco non vuole e non può lasciare il suo lavoro, l’unico che sostiene la famiglia. Perciò scrive al Comando di competenza di essere messo in congedo illimitato “quale figlio primogenito di madre vedova che versa in cattive condizioni finanziarie e di salute”. La domanda non viene accolta e Franco rifiuta di partire soldato, diventando così disertore agli occhi della Repubblica di Salò. Da quel momento ogni giorno una pattuglia di soldati tedeschi e repubblichini invade la casa di San Germano minacciando con fucili tutta la famiglia per catturarlo.

    Franco riesce a fuggire più volte, ma le minacce e i rastrellamenti si fanno pressanti. Un giorno di fine maggio del 1944 scappa ancora con un coetaneo, anche lui ricercato, e si nasconde sotto un ponte tra le risaie. Immaginate questi ragazzi immersi nell’acqua, consapevoli di ciò che sarebbe potuto accadere, immobili nel silenzio di distese di riso. Si avvicina una pattuglia di tedeschi, passa sopra le loro teste, si allontana. Il rumore si disperde nella campagna. Pericolo scampato anche questa volta. L’amico di Franco esce dal nascondiglio, ma … proprio sopra il ponte soldati tedeschi in moto si erano fermati ed avevano spento il motore. Il destino aveva giocato contro.

    Vengono catturati e Franco è condotto nelle carceri di Vercelli. Qui verrà picchiato talmente tanto che quando viene portato sul treno diretto alle carceri di Torino i famigliari, corsi alla stazione per vederlo, non lo riconoscono. Poi Milano. Destinazione: campo di concentramento in Germania. Parte da Bolzano e arriva a Bitterfeld a fine settembre 1944. Sarà messo al lavoro forzato in una fonderia dove si costruiscono parti di bombardieri. La fortuna di Franco fu che nella fabbrica le donne sostituivano i loro uomini al fronte.

     

    Furono alcune di loro ad aiutarlo a sopravvivere, allungandogli di nascosto un po’ di cibo. Il campo fu liberato dai Russi nell’estate del ’44. La piccola percentuale di sopravvissuti era estremamente provata dal lavoro forzato, dalla mancanza di cibo e dai mesi o anni di maltrattamenti. Dovettero affrontare un lungo e difficile cammino prima di ritornare a vivere come esseri umani. Franco raggiunge la sua casa il 9 giugno 1945 con solo addosso gli abiti sgualciti che sostituivano la divisa del campo, un cucchiaio, una forchetta ed un coltello d’ottone.

    L’Italia era da ricostruire e la vita riprende a poco a poco. Il diciottenne portato via a forza torna al suo lavoro, si sposa ed ha tre figli. Ma le ferite dell’anima non cicatrizzano del tutto. Racconta raramente quei due anni che gli hanno spezzato i sogni di ragazzo. “Odiava gli spinaci -racconta Carla la primogenita- perché era obbligato a mangiarli immersi in acqua sporca di terra insieme a pochi pezzi di patate.

    Gli stenti, le botte, la fame e la polvere respirata nella fonderia gli procurano seri problemi di salute.

    Franco Gallina muore a 60 anni il 2 gennaio 1961.

    La “pietra d’inciampo” in via Parma

    I suoi figli hanno voluto “non dimenticare”. Aiutati dal “Museo Diffuso. Resistenza. Deportazione. Guerra. Diritti. Libertà” e dal “Museo Le Nuove” di Torino sono riusciti a ricomporre la tragica vicenda del papà, che ho cercato di raccontarvi.

     

    A lui è stata dedicata a Torino in via Parma, dove risiedeva in quell’infausto 1943, una “pietra d’inciampo” per ricordare e riflettere  sugli orrori di quella parte della nostra Storia. Perché non si ripeta mai più.

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