Dal divino giunge la bellezza: l’opera umana che la celebra assurge dunque a rito, ove sacro e terreno si fondono in un crogiolo alchemico. Con il metallo ridotto a sostanza liquida si foggiano forme dalla lieve apparenza, qualora la sapiente mano dell’artefice osi sfidare la materia.
I segni del lavoro permangono sul modellato dello scultore Sergio Unia: attraverso la vibrante superficie emerge il corpo muliebre, pervaso da un’elegante avvenenza, sottilmente sensuale, colto nell’espressione di una femminilità avvolta in una pensosa pacatezza. “Incontrare la forma” è il titolo della mostra antologica di Unia (a cura di Doglio e Cavallo) nel cui catalogo, edito da Primalpe, compaiono testi critici di Doglio, Cavallo, Mistrangelo, oltre alle testimonianze del Sindaco della città di Cuneo Borgna e dell’Assessora per la Cultura Clerico, del Presidente della Fondazione CRT Quaglia, del Presidente della Fondazione CRC Genta; inoltre della figlia dell’autore Marcella Unia. Oltre cento sculture e disegni, caratterizzati da una bilanciata “grazia” (secondo Schelling “la più profonda dolcezza e armonia di tutte le forze”), hanno trovato collocazione a Cuneo nella ex-chiesa del complesso monumentale di San Francesco –costruito a partire dal XIII fino al XVIII secolo-, circondati dai pregevoli affreschi del XV° secolo, sotto il maestoso crocifisso quattrocentesco che composte geometrie delineano.
Nella solenne cornice architettonica, i giochi cromatici delle opere in bronzo oppure in gesso, a contrasto con i pilastri in mattoni ovvero con le pareti dipinte, sottolineano le sculture che evocano tanto le opere classiche quanto autori quali Degas, Messina o Manzù. Unia infatti “unisce classicità e linguaggio moderno, intensità espressiva e testimonianza civile” (A. Mistrangelo) nelle proprie creazioni. L’artista possiede un proprio canone estetico, attraverso il quale interpreta l’ordine della natura nella perfezione del corpo, nella delicatezza delle torsioni equilibrate e meditate, mentre il modellato, seppur evidente, non sacrifica le ponderate proporzioni e la morbidezza delle forme femminili. La bellezza si palesa in modo inconsapevole nel colloquio fra le “Tre Grazie”, mentre appare più ricercata nei “Nudi sulla sedia”; diventa invece innocentemente maliziosa nella “Bagnante con cappello (Giorgia)” oppure in “Danzatrice che si guarda un piede”, pur senza divenire mai esplicitamente erotica. Opere intrise di forte realismo sono l’espressiva “Sposa del vento”, “Il mattino (Rossana)”, “Prigione”, bronzo che muove l’osservatore alla partecipazione emotiva, e “Torso (prigione)”, appartenente alla serie dei “reperti”. L’artista non ignora invero i temi drammatici: una sezione dell’esposizione è dedicata infatti alla guerra, alla sopraffazione dell’uomo sull’uomo, alla violenza sulle donne. Pure gli argomenti religiosi vengono interpretati in modo personale: alle spalle di un Cristo crocifisso soffre, sulla stessa croce, una donna nella medesima, drammatica condizione.
La delicatezza caratterizza altresì il linguaggio con cui sono ritratti le fanciulle ed i fanciulli, sospesi in un sognante mondo di gioco, ove si cresce accompagnati dal sorriso e dalla spensieratezza; altrettanto gioiose si manifestano le “Maternità”. L’amore per la vita traspare tuttavia in ogni opera: nell’abbraccio passionale degli amanti, negli ampi gesti delle vigorose ginnaste oppure nella misurata postura delle suonatrici. I disegni, disposti lungo il perimetro della mostra, ritraggono pargoli, ragazze ed altresì nudi di donne dormienti oppure accoccolate ed ancora passionali avviluppi di corpi. In alcune raffigurazioni, luci ed ombre vengono sfumate con il carboncino, in altre con la sanguigna, mentre i contorni talvolta sono profilati attraverso semplici tratti d’inchiostro; ulteriori figure infine compaiono fra segni di colore sapientemente essenziali.