Venerdì per il futuro

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Uno dei presidi di FFF in piazza Castello

Fridays for future, letteralmente, significa “venerdì per il futuro”. Che cos’è? È un’idea divenuta concreta.

Nell’estate del 2018, in Svezia (come sempre anni luce davanti a noi), una normale ragazzina di quindici anni di nome Greta era colpita da come l’uomo stesse devastando il mondo, e si chiedeva come poteva lei, da sola, fare la sua parte per cambiare la situazione. Ce lo chiediamo in tanti, l’autore di questo articolo compreso, ma tante volte ci rispondiamo con una scrollata di spalle. Da soli non potremo mai cambiare niente di niente. Là fuori ci sono un sacco di persone a cui non interessa nulla degli altri, che seguono solo i propri interessi. E sono la maggioranza! Cambiare il mondo è una sfida persa in partenza, non vale nemmeno la pena di provarci. Eppure, questa Greta, normale ragazzina di quindici anni, non ci stava. Era ingiusto che i “grandi” devastassero il pianeta, in cui però avrebbe dovuto vivere pure lei, pensava. Come tutti i suoi coetanei, anche lei doveva andare a scuola. Ma con l’aggravarsi della distruzione della Terra, con l’aumento del clima, le deforestazioni, l’inquinamento, l’effetto serra  spropositato…, l’obiettivo di andare a scuola cominciava a essere un po’ inutile. Perché studiare per un futuro che potrebbe non esistere? Perché spendere un sacco di sforzi per diventare istruiti, quando i nostri governi non ascoltano? E così ha scelto di agire, di non arrendersi e di provare a cambiare qualcosa. Ad agosto ha passato tre settimane seduta davanti al parlamento svedese, per protestare contro la mancanza di azione sulla crisi climatica da parte del suo governo. Ha pubblicato quello che stava facendo su Instagram e Twitter e presto la sua protesta è diventata virale in tutta Europa. A settembre è riiniziata scuola, ma lei ha scelto di continuare a colpire ogni venerdì pomeriggio, fino a che i politici svedesi non hanno varato politiche ambientali in linea con l’accordo di Parigi. Intanto gli hashtag #FridaysForFuture e #Climatestrike, usati dalla ragazzina durante le proteste, si sono diffusi, e molti studenti e adulti hanno cominciato a protestare fuori dai loro parlamenti e dai municipi locali di tutto il mondo, ogni singolo venerdì pomeriggio.

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Il neonato movimento si è diffuso in un baleno. In Germania e Belgio conta decine di migliaia di iscritti e pian piano sta arrivando anche in Italia.
La nostra Torino è una delle città dove si sta radicando più profondamente. In realtà, poche settimane fa eravamo solo una ventina di persone, prevalentemente ragazzi.

Uno dei presidi di FFF in piazza Castello

Ci siamo incontrati un venerdì pomeriggio in Piazza Castello, con qualche cartello. La gente si fermava a chiedere che cosa facessimo lì e ci faceva i complimenti. Il venerdì dopo eravamo il doppio. Due venerdì dopo ancora, il triplo. Poi hanno cominciato ad invitarci le scuole nelle assemblee di Istituto: il Regina Margherita, il Berti, l’Erasmo da Rotterdam… Le mattinate delle nostre agende cominciano a riempirsi. È bello perché, in effetti,  nel nostro piccolo stiamo provando a cambiare la situazione. Faremo un grande evento il 15 marzo, contemporaneamente in centinaia di piazze d’Europa, per sensibilizzare la gente e i governi. I giovani alla fine dovranno essere quelli più attivi. Gli effetti delle attuali emissioni si vedranno non domani, ma fra cinquant’anni, e saranno disastrosi. Siccità alternata a disastrose bombe d’acqua, desertificazioni, tsunami, valanghe, inondazioni e quant’altro non colpiranno coloro che oggi stanno distruggendo il pianeta. È brutto da dire, ma loro ormai saranno morti e sepolti. Saremo noi, la nostra generazione di giovani, che verrà colpita. Per ora non esiste un Pianeta B, e la scienza non crede che esisterà nei prossimi decenni. Quindi, quando smetteremo di “autolesionarci”? Ormai fare la raccolta differenziata non è più sufficiente.

 
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