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sabato, Luglio 27, 2024

    Migliara e l’architettura della luce

    Grandi spazi s’inondano di luce, sottili gradazioni cromatiche in successione accompagnano l’occhio dell’osservatore attraverso superfici lapidee, lignee oppure decorate che realisticamente si dipanano intorno a vasti volumi sospesi tra realtà ed immaginazione, immersi nei contrasti di fonti luminose a differente intensità.

    Ambienti e personaggi si compenetrano; rigoroso disegno architettonico e raffinata prospettiva aerea convergono per creare rappresentazioni pittoriche tanto verosimili quanto incantevoli.

    Le numerose opere presenti nella mostra “Giovanni Migliara – Viaggio in Italia”, allestita presso la Fondazione Accorsi-Ometto, a cura di Sergio Rebora ed organizzata dalla Fondazione stessa insieme a Studio Berman di Giuliana Godio, forniscono una sintesi della produzione artistica dell’autore romantico, alessandrino di origine ma presto traferitosi a Milano, formatosi a Brera e divenuto famoso nel momento in cui la città lombarda fu scelta da Napoleone quale capitale del nascente Regno d’Italia (1805-1814).

    Giovanni Migliara – “Interno di un chiostro o Piazza con colonnato o Capriccio” – 1814-1815, olio su tela – Vercelli, Fondazione Museo Francesco Borgogna

    Migliara (1785-1837) seppe incontrare il favore di un ampio pubblico in un periodo di declino della pittura religiosa e mitologica, quando invece la storia antica e quella contemporanea erano soggetti sempre più richiesti. Questo artista mise a frutto l’esperienza di scenografo ed intercettò la tendenza francese tardo-settecentesca legata al revival medievale e rinascimentale detta “gusto troubadour”, sposò i “capricci” del vedutismo ispirato a Canaletto, Bellotto e Guardi con l’amore per il dettaglio tipico delle pitture fiamminga ed olandese e raffigurò finanche narrazioni storiche o di derivazione letteraria, nonché coeve scene di genere, collocate in ambienti prevalentemente “urbani”.

    Dopo la caduta di Napoleone, i pittori, sia lombardi sia stranieri, si distaccarono dai soggetti che evocavano il recente governo francese (l’imperatore aveva cercato di imporre la propria autorità all’intera Europa), quali la storia classica o contemporanea, a favore di una ricerca –differente per ogni Paese- delle radici locali e medievali.

    Amico di Francesco Hayez, Pelagio Palagi e Giuseppe Molteni, Migliara creò una propria “scuola” privata e viaggiò con continuità attraverso l’Italia, raccogliendo immagini della penisola in pregevoli taccuini di viaggio, che avrebbe in seguito utilizzato al fine di soddisfare le richieste da parte dei principali collezionisti del tempo: i temi prediletti consistevano in vicende pubbliche e scene di vita moderna oppure in vedute dei luoghi visitati.

    Il pittore ottenne così estimatori e committenti di rango, in Italia ed all’estero, quali il re Carlo Felice, Maria Cristina e Carlo Alberto di Savoia (che lo nominò Cavaliere e, nel 1833, suo “Pittore di genere”), oltre a Leopoldo II di Toscana, all’arciduca Ranieri d’Austria ed al principe di Metternich.

    In mostra si ammirano altresì dipinti commissionati dal generale Domenico Pino e dall’imprenditore Enrico Mylius.

    La “Filanda Mylius a Boffalora (1828)” (azienda esempio di meccanizzazione ed evoluzione tecnica per la filatura a freddo della seta) è “la più antica rappresentazione conosciuta di una fabbrica e di un processo lavorativo industrializzato in Italia” (Meda Riquier).

    Apprezzato dal popolo ed elogiato pure da Giuseppe Mazzini per il suo afflato “democratico” e per l’equilibrio fra mezzi tecnici e resa espressiva, Migliara influenzò numerosi allievi, tra cui la figlia Teodolinda, Federico Moja, Giovanbattista Dell’Acqua, Giovanni Renica ma soprattutto Luigi Bisi ed in generale la cultura figurativa lombarda.

    Dipinti a olio, acquerelli, tempere, “fixès sous verre” (miniature a olio su seta applicate su vetro) ed album di disegni sono riprodotti nel catalogo, edito da Silvana Editoriale e contenente saggi di Ilaria De Palma, Bernardo Falconi, Cinzia Lacchia, Luca Mana, Giovanni Meda Riquier, Rebora, Monica Tomiato; gli apparati sono a cura di Rebora con la collaborazione di Giulia Mattai.

    “Il ciarlatano Dulcamara che vende l’elisir” fu purtroppo lasciato incompiuto: l’ultima opera di un pittore la cui maestria si può chiaramente evincere in una mostra ricca ed eterogenea.

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