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sabato, Luglio 27, 2024

    Le “ mie” Biennali di Venezia

    Seconda puntata

    1993: il furto. Il profumo di Peter Suskind è composto da 68 sculture: una mano “con in mano un semplice fallo”, una delle quali è stata rubata da un visitatore evidentemente in trance. Al palazzotto Venier dei Leoni i giornalisti accreditati sono solamente tre: i rimanenti – noi compresi – assistono dal “Florian” alla Pioggia elettrica di Fabrizio Plessi.
    1995: siamo invitati a colazione nel padiglione dedicato all’isola di Tajwan: una raccolta abbastanza interessante, per un primo appuntamento.
    Alla bella età di 67 anni approda a Venezia Pablo Picasso; scrive Vittorio Sgarbi che il pittore di Malaga si “identifica con un’epoca” e non è solo da considerarsi uno stile.
    La Mostra è varia con qualche inevitabile ripetizione; 15 milioni vale il vaso modellato a Vallauris. Un racconto sempre denso di fascino, indiscutibilmente.
    Si festeggiano i cento anni di Biennale, un’esposizione ricca di spunti e revivals che eccita la mente, che fa sognare oppure che i sogni distrugge; una mostra che almeno una volta nella vita bisogna visitare per sentirsi cittadini del mondo oppure per ammirare i cappellini delle colleghe americane che accolgono dei veri frutteti, per ascoltare il furoreggiare dell’inglese e dell’americano e ritrovare chi, fra i piemontesi, è riuscito ad approdare in laguna; artisti e critici.
    Un brandello di “studio” per il Supremo Convegno di Giacomo Grosso è collocato proprio all’ingresso, nella prima sala di palazzo Grassi; ne siamo fieri e quasi certi. Una rassegna superba. Poi ci si imbatte in Jean Clair che vuole una Biennale “basata sulla storia e sulla figura umana”; si scoprono ( ma non ci interessano per nulla ) i Segreti sepolti di Bill Viola, i rottami di Cesar, il battesimo del padiglione Coreano; John Olsen ( Danimarca ) avvia la denuncia dell’uomo che “giorno dopo giorno compromette la natura”.

    Dimenticavamo un’edizione con 40.000 scarafaggi – illuminati dall’iridescenza di pochi coleotteri – che bella proprio non è nonostante l’estasi di una collega nord-europea.
    Poi un ricordo ancor vivo in noi; alle Corderie aiutiamo una giovane artista a trasportare un bauletto laccato di blu ricolmo di sabbia dal canale alla sala espositiva; altri bauletti vuoti attendono per completare l’happening “per non essere crudeli”. Dove sia finita la fotografia relativa non si sa; i miei figli si chiederanno cosa diavolo stessi facendo anziché lavorare per il giornale!
    2003: per noi torinesi è l’anno di Carol Rama che riceve il Premio alla Carriera in palazzo Ducale; a una collega che l’intervista dirà: “Ho vissuto la più disperata delle esistenze”.
    Con il 2005 il titolo del nostro reportage è: “Biennale, la pittura dov’e’? I Palazzi storici ospitano migliaia di pinguini rossi, il lampadario spropositato è composto da … assorbenti femminili, tre donne sono legate entro sacchi, il susseguirsi di video squarcia il buio dell’Arsenale e un poco annoia.” Ci consoliamo – il giorno appresso – visitando al museo Correr la mostra splendidamente “malata” di Lucian Freud
    “Pensa con i sensi / Senti con la mente”, eccoci giunti al 2007; questa è la frase che corre in vari punti della città.
    Con un bel ritardo causa l’inaugurazione dell’hotel “Molino Stucki” ( che ovviamente ci perdiamo ) compare il ministro Rutelli per la Conferenza stampa.È l’anno in cui l’Africa ottiene il Leone d’oro conferito all’artista Malik Sibidè ( Mali ): il fotografo con l’atelier in bicicletta, che va eternando con il suo stile moderno (…) una realtà umana in trasformazione ( + 2022 M. L. Tibone ).
    Anselmo e Penone esprimono il Piemonte; la sala evoca i versi di Emili Jayce: “Tu non puoi agitare un fiore senza disturbare una stella”.

    Ed eccoci giunti all’ultimo appuntamento: 2009. A Riva Ca’ di Dio ci accoglie il messaggio giunto da Amsterdam: “Bisogna intessere un dialogo fra la città, i nuovi media e l’arte”.
    Ancora un Leone d’oro assegnato a Yoho Ono, consorte di John Lennon; quindi l’omaggio a Marinetti e al Futurismo “pensato” da Luca Beatrice e Beatrice Bruscaroli; ma la buona scultura si trova nella sala di Bruce Naumann ( USA ), mentre il Labirinto di tapparelle veneziane ( Corea ) esercita un certo effetto in un Oriente che guarda troppo al Nuovo Continente dimenticando il fascino della propria terra.
    Poi la musica: nel padiglione russo si presenta un rifacimento del Sacre du Printemps di Igor Stravinski; scrive nel 1970 H. C. Schonberg che l’ammiratissima musica oggi, “colpì l’Europa con una violenza senza precedenti”.
    Un suono gradevole che ci accompagna sino alla Dogana da mar ove ci attende la recente collezione Pinault mentre al museo Guggenheim la “torre neogotica” di Wim Delvoye domina il Canal Grande; quindi si scopre il museo dedicato a Emilio e Annabianca Vedova ( Renzo Piano ): sulle pareti un solo gesto di rifiuto rivolto alla condizione umana, ma di quale potenza! Anche cromatica.
    Un sogno infine: il principe Alberto di Monaco e Philippe Pastor – con il più bel catalogo della Biennale – vorrebbe ripiantare un miliardo di alberi nel mondo.
    La mostra evoca un bosco distrutto dalle fiamme per cui si ritorna all’attualità.
    Come sarà la Biennale 2022, 59° nella storia? Certe sono le presenze di Leonor Fini, Augusta Savage, la quasi divina Carol Rama e una trentina scarsa di italiani in generale.
    Che le donne nel mondo dell’Arte siano ancora “all’angolo” non ci pare proprio. A Torino certo no, nell’ambito dell’Accademia, della critica come negli spazi universitari e in Soprintendenza.

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