Dettagli nella memoria

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Xavier de Maistre
“Puiseux, Francia”
2015

Di fronte alle opere che Xavier de Maistre, raffinato incisore, crea attraverso la tecnica dell’acquaforte, l’osservatore è avvinto da un mondo fatato, ove la perfezione dell’ordine naturale viene riflessa in una ponderata figurazione; le immagini sono il risultato di una ricercata perizia e di una non comune efficacia nel ritrarre l’eterogeneità di superfici, forme e spazi.
La Galleria Fogliato (Via Mazzini 9, Torino), nella mostra “L’acquaforte: Ostinato rigore” organizzata in collaborazione con l’associazione culturale “L’opera dipinta”, presenta oltre cinquanta stampe in cui risaltano estro e poetica dell’artista.
Nei sottili segni tracciati con eccezionale cura si percepisce una meravigliata attenzione per flora e fauna incontrate dall’autore durante passeggiate compiute nel vasto parco della propria dimora nobiliare, osservazioni accompagnate da un’interiorità incline alla connessione con le sottili manifestazioni della natura.
“I suoi lavori nascono nel raccoglimento, approfondendo stimoli del tutto mentali, assecondando un gusto visionario grazie al quale si materializza una raffigurazione spesso fatta di sottintesi” (Paolo Levi).
La curiosità che spinse il giovane Xavier a visitare lontani Paesi conduce altresì l’animo dell’artista a rappresentare “Il bosco” -in cui l’autore “si vuole perdere”- quale luogo ove ogni creatura vegetale costituisce un essere unico e definito dalle proprie peculiarità, mentre talvolta nel paesaggio appaiono presenze discrete e al contempo fondamentali: gli animali (“Camosci e montagne”, “Quercia bella”).
Intrichi di rami, foglie e piante rampicanti, simili a labirinti attraverso cui meditare, vengono studiati accuratamente; imponenti chiome arboree affiancano inoltre aristocratiche residenze (“Castello di Sayn”, “Castello di Menetou-Salon”) oppure prestigiose ville (“Villa Rossi – Venaria”, “La Femara – Oglianico”).
Nell’ampia veduta del “Sestriere”, pini proiettano lunghe ombre sui monti che abbracciano gli edifici; ne “Il posatoio” è invece il volo di uccelli, fra alberi che svaniscono in distanza progressivamente nascosti dalla foschia, a costruire l’illusione della profondità spaziale.
Uno scuro paesaggio custodisce ricordi dell’”Etna” e contiene minuscole annotazioni, invisibili all’occhio che non scruta.
Gli animali non solamente compaiono immersi nell’ambiente naturale, bensì assumono in numerose incisioni il ruolo di soggetto principale: la testa di un capriolo appare in primo piano dinanzi allo sfondo delle montagne, mentre una civetta guata l’osservatore e un lupo si mostra minaccioso, esibendo le acuminate zanne. La consistenza di piume e pellicce è ritratta con maestria, parimenti alla sofficità del pelo di una candida lepre che, acquattata nella neve, pare immobile, in attesa; un’intensa drammaticità caratterizza invece la scena in cui un astore ghermisce un fagiano.
Una beccaccia, un beccaccino e una pavoncella di profilo sfoggiano variegate livree; una moretta nuota sulla superficie di uno stagno tra riflessi luminosi e un martin pescatore si accinge a consumare il pasto appena cacciato. L’autore esprime infine nella definizione di aculei e setole di un istrice il proprio virtuosismo.
Gli oggetti inanimati svelano un insolito fascino grazie alla predilezione dell’artista per il particolare: la complessa architettura di un nido è ricostruita un ramo alla volta; una rosa recisa è riprodotta in toni di grigio, uniti a delicate cromie.
Talora bianco e nero cedono il passo al colore: nell’acquaforte-acquatinta “Acciuga quasi al verde” prevalgono verde e azzurro.
L’autore, fedele al personale metodo, dà forma dunque a una figurazione densa di dettagli e ispirata da una natura che si rivela stupefacente a chi sa contemplarla.
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